SIRACUSA
Città
di mare, che nel mare si allunga con l'isola di Ortigia,
Siracusa è adagiata lungo una baia armoniosa. Il nome evoca
subito il passato greco, i tiranni e la rivalità con Atene
e con Cartagine, passato di cui la città conserva numerose
testimonianze, questo si affianca un periodo forse meno
conosciuto, ma non meno suggestivo, che si rivive percorrendo
le stradine dell'isola, dove il tempo sembra essersi fermato
in bilico tra Medioevo e Barocco. Subito alle spalle di
Ortigia si estende l'Acradina, come veniva chiamata nell'antichità
la zona pianeggiante contigua ad Ortigia. E poi la Neaú
polis, area "nuova" dove si trova il teatro, l'Orecchio
di Dionisio e la latomia del Paradiso, una delle più belle,
e, ad oriente, il quartiere di Tyche che ricorda la presenza
di un tempio dedicato alla dea Fortuna (dal greco Tyche,
il caso). Domina tutta l'Epipoli, custodita e difesa dal
castello Eurialo, in posizione elevata e strategica.
ORTIGIA
Giace
de la Sicania al golfo avanti
un'isoletta che a Plemirio ondoso
è posta incontro, e dagli antichi
è detta per nome Ortigia...
Virgilio, Eneide, Canto III.
Data
la ricchezza di palazzi e di scorci interessanti, diviene
impossibile segnalare un percorso lineare che comprenda
tutto ciò che merita di essere visto. Qui di seguito si
nominano quindi solo le vie di maggior interesse lasciando
alla fantasia ed alla voglia di chi si addentra in questi
angoli di storia, l'emozione della scoperta dei particolari.
Un consiglio: viaggiate con il naso all'insù, per non perdere
i segreti che queste stradine, con i loro palazzi, racchiudono.
Uno
sguardo alla costa...
L'isola, l'insediamento più antico della città, è legata
alla terraferma dal Ponte Nuovo, prolungamento di c.so Umberto
I, una delle principali arterie di Siracusa. Qui la sensazione
del mare si fa più forte fin dalla darsena che si stende
sia a destra che a sinistra del ponte ed è animata da barche
colorate. Lasciando vagare lo sguardo lungo la banchina
si nota a destra, proprio sull'angolo, un bel palazzo in
stile neogotico: l'intonaco rosso e le bifore della dimora
del poeta e scrittore Antonio Cardile (ME 1883-SR 1951)
invitano il visitatore a proseguire il peniplo dell'isola.
L'atmosfera che si respira è più calma e pacata ed i rumori
sembrano giungere attutiti. Sulla destra il mare, sulla
sinistra le antiche mura spagnole che testimoniano come
un tempo (fino al 1800) tutta la città vecchia fosse fortificata.
La Porta Marina, la cui lineanità è spezzata
da una bella edicola in stile catalano, immette nel passeggio
Adorno, creato sopra le mura nel XIX sec. Oltre, lo sguardo
abbraccia l'immensa distesa del Porto Grande, in passato
teatro di imponenti battaglie.
Fonte
Arethusa - Sorgente di acqua dolce, ebbe nell'antichità
un ruolo determinante per l'insediamento del primo nucleo
di abitanti. L'esistenza della fonte è legata ad una leggenda.
Arethusa, ninfa di Diana perseguitata dall'amore del cacciatore
Alfeo, chiede aiuto alla dea che la fa fuggire lungo una
via sotterranea. Raggiunta così l'isola di Ortigia, la ninfa
si trasforma in fonte. Alfeo però non si perde d'animo e,
trasformatosi in fiume sotterraneo, passa lo Ionio fino
a raggiungere Ortigia dove mescola le sue acque con quelle
di Arethusa.
Oggi nella fonte, tra papiri e palme, nuotano anatre e papere.
Il fronte delle case, dai colori pastello, rende l'armoniosa
continuità che pervade anche le vie interne. Appare sulla
punta estrema dell'isola la mole del Castello Maniace
(non visitabile). Fortezza in pietra arenaria costruita
da Federico II di Svevia nella prima metà del XIII sec.
lI nome è quello del generale bizantino Giorgio Maniace
che nel 1038 cerca di sottrarre Ortigia agli Arabi, fortificando
l'isola
ed in particolare il luogo dove poi Federico II riedificherà
il castello. La struttura squadrata e massiccia è tipica
della tipologia costruttiva sveva. Alcuni elementi architettonici
testimoniano come il castello probabilmente avesse funzione
difensiva, ma anche di rappresentanza. Proseguendo si raggiunge
la riviera di Levante da cui si gode di una bella vista
del Castello (la migliore resta quella che si gode dal mare).
Si supera la Chiesa dello Spirito Santo, dalla
bella e bianca facciata a tre ordini raccordati da volute
e scandita da lesene, e si raggiunge, lasciato alle spalle
anche il Forte Vigliena, il Belvedere
S. Giacomo, un tempo baluardo difensivo, da dove
si gode di una bella vista su Siracusa.
...ed
una passeggiata nell'interno
Piazza Duomo - Dalla forma irregolare e leggermente
tondeggiante lungo il lato che fronteggia la cattedrale,
quest'incantevole piazza si permea di un'atmosfera particolarmente
suggestiva al tramonto ed al calare della notte, quando
viene illuminata. E' delimitata da bei palazzi barocchi
tra i quali spiccano la notevole facciata di Palazzo
Beneventano del Bosco, dalla bella corte interna,
con di fronte il Palazzo del Senato (nel cui
cortile è custodita una Carrozza del Senato del XVIII sec.)
e la Chiesa di S. Lucia a chiudere il lato
corto.
Duomo
- Il sito ove sorge il Duomo viene destinato fin dall'antichità
ad ospitare un luogo di culto. Ad un tempio eretto nel VI
sec. a.C. si sostituì il Tempio di Atena, innalzato in onore
della dea con i proventi della fatidica e schiacciante vittoria
ad Himera (480 a.C.) contro i Cartaginesi. Il tempio viene
inglobato, nel VII sec., in un edificio cristiano: vengono
innalzati muri a chiudere lo spazio tra le colonne del penistilio
e vengono aperte otto arcate nella cella centrale per permettere
il passaggio alle due navate laterali così ottenute. Le
imponenti colonne doniche sono ancora oggi visibili sul
lato sinistro, sia all'esterno che all'interno dell'edificio.
Forse trasformata in moschea durante la dominazione araba,
la chiesa viene rimaneggiata in epoca normanna. Il terremoto
del 1693 causò il crollo della facciata che viene rifatta
in forme barocche (XVIII sec.) dal palermitano Andrea Palma
che utilizzò come modulo compositivo basilare la colonna.
L'ingresso è preceduto da un atrio con un bel portale fiancheggiato
da due colonne a torciglioni lungo le cui spire si avvolgono
rami d'uva.
All'interno, il lato destro della navata laterale è delimitato
dalle colonne del tempio, che oggi danno accesso alle cappelle.
Nella 1° cappella di destra è conservato un bel fonte battesimale
formato da un cratere greco in marmo sostenuto da sette
leoncini in ferro battuto del XIII sec.
La cappella di S. Lucia presenta un bel paliotto
argenteo del '700. Nella nicchia è conservata la statua
argentea della santa, opera di Pietro Rizzo (1599). La cattedrale
raccoglie molte statue dei Gagini tra cui quella della Vergine
(di Domenico) e di S. Lucia (di Antonello) lungo la navata
laterale sinistra e la Madonna della Neve (di Antonello)
nell'abside sinistra.
A nord della piazza, in via Landauna, si trova la Chiesa
dei Gesuiti, dall'imponente facciata.
Galleria
Civica d'Arte Contemporanea - Ospitata nell'ex-convento
e chiesa di Montevergini (ingresso da via delle Vergini),
la collezione raccoglie opere principalmente pittoriche
di artisti contemporanei sia italiani che stranieri (Sergio
Fermaniello, Marco Cingolani, Aldo Damioli, Enrico De Paris).
Galleria
Regionale di Palazzo Bellomo - Palazzo Bellomo, sorto
in periodo svevo (XIII sec.), viene ampliato e sopraelevato
nel corso del XV sec. Si delineano così i due stili differenti:
al piano inferiore portale ad arco ogivale e feritoie che
lo rendono simile ad una fortezza: trifore sorrette da esili
colonnine a quello superiore. Dapprima palazzo privato,
passò nel '700 alle monache dell'attiguo monastero di S.
Benedetto oggi totalmente inglobato nella struttura museale.
Contigua al palazzo è ancora visibile la Chiesa di
S. Benedetto dal bel soffitto a cassettoni. L'interno
del palazzo presenta al centro un bel cortile porticato
su cui si affaccia la scala che conduce al piano superiore.
Il parapetto è ornato nella fascia alta da trafori a rosa
e trilobati. Alla fine della prima rampa si trova una bella
edicola in stile flamboyant.
Il
museo - E' dedicato in massima parte all'arte siciliana.
Chiaro lo stile bizantino di una bella serie di dipinti
cretesi-veneziani (sala IV) raffiguranti la creazione del
mondo (sei tavole), il peccato originale e la cacciata dal
paradiso terrestre. Il piano superiore è prevalentemente
dedicato alla pittura. Il pezzo più interessante è certamente
la bella, ma rovinata Annunciazione di Antonello da Messina.
Come in molti altri dipinti di questo artista si denota
il gusto fiammingo per i particolari (il manto del santo,
il paesaggio popolato di personaggi oltre la finestra) a
cui si unisce il rigore formale, compositivo e prospettico
italiani. Il seppellimento di S. Lucia, di Caravaggio, è
forse ambientato nel sepolcro della santa all'interno delle
omonime catacombe. Lo stile drammatico e provocatorio che
caratterizza l'opera di questo artista si delinea nella
stessa scelta compositiva: la folla di persone che si accalca
alle spalle del corpo della santa, per terra, è dominata
dalle figure dei becchini, delle quali una, imponente ed
in primo piano, è di spalle. E la luce proietta ombre inquietanti.
Il museo presenta inoltre una serie di oggetti artistici
tra cui arredi e paramenti sacri, presepi, mobili e ceramiche.
Poco lontano, in via S. Martino, l'omonima chiesa, il cui
impianto originario risale al VI sec., conserva un portale
in stile gotico-catalano.
Palazzo
Mergulese-Montalto - E' un bellissimo palazzo, purtroppo
non in ottime condizioni, la cui costruzione risale al XIV
sec. La facciata si scandisce in due ordini divisi da un
marcapiano dentellato. La parte superiore è ornata da superbe
finestre elaborate, racchiuse da archi dal ricco intaglio
e suddivise da esili colonnine tortili. Al piano inferiore
si apre il portale ad arco acuto sormontato da una bella
edicola. Dal palazzo si può raggiungere la vicina piazza
Archimede, di formazione più recente. Animata al
centro dall'ottocentesca fontana di Artemide, è delimitata
da bei palazzi.
Dalla piazza nasce via della Maestranza.
Via
della Maestranza - E' una delle vie principali e più
antiche di Ortigia ed è fiancheggiata da abitazioni nobili
di aspetto barocco di cui, qui di seguito, segnaliamo le
più significative. Al n° 10 il Palazzo Interlandi
Pizzuti e, poco più avanti, Palazzo Impellizzeri
(n° 17), che presenta una facciata ritmata da finestre e
balconi dalle linee sinuose. Poco oltre, Palazzo Bonanno
(n° 33), sede dell'Azienda Autonoma di Turismo, è una severa
costruzione medievale dalla bella corte con una loggia al
primo piano. Al n° 72 si eleva l'imponente Palazzo
Romeo Bufardeci, dall'esuberante facciata con balconi
rococò. La via si apre poi in una piazzetta coronata dalla
Chiesa di S. Francesco all'Immacolata cui
si appoggia la torre campanaria risalente all'800. La facciata
chiara, convessa, è lineare e scandita da colonne e lesene.
La chiesa ospitava, nella notte tra 28 ed il 29 di novembre,
un rito di origine antica, la Svelata, durante il quale
veniva svelata l'immagine della Madonna. Questo avveniva
nelle prime ore dell'alba (per permettere alla gente di
recarsi al lavoro che un tempo iniziava prestissimo). Durante
la notte una banda musicale annunciava ai fedeli l'inizio
della celebrazione. Verso la fine della via si delinea la
facciata ricurva di Palazzo Rizza (n° 110).
Palazzo Impellizzeri (n° 99) domina la via
dall'alto della sua sontuosa ed originale cornice di volti
umani e grotteschi sormontata da motivi floreali.
Alle spalle dell'ultimo tratto si stende il Quartiere
della Giudecca dalla planimetria antica, con vie
serrate e perpendicolari tra loro. Venne abitato dalla comunità
ebraica durante il XVI sec., fino alla loro espulsione.
Mastrarua
- Oggi via Vittorio Veneto, era un tempo l'arteria principale
di Ortigia. Era lungo questa via che il re entrava in città
ed era qui che si svolgevano processioni, parate ufficiali
e reali. E quindi logico che vi si affacciassero bei palazzi.
Alcuni tra i più significativi sono Palazzo Bianco
(n° 41). riconoscibile dalla statua di S. Antonio in un'edicola
sulla facciata e dal bel cortile interno con scalea, Casa
Mezia (n° 47) il cui portale è sormontato da una
mensola a forma di grifone, e la Chiesa di S. Filippo
Neri seguita dalla lineare facciata di Palazzo
Interlandi e da Palazzo Monforte,
purtroppo molto rovinato. Quest'ultimo fa angolo con via
Mirabella lungo la quale si allineano begli edifici. In
particolare, proprio di fronte a palazzo Monforte, si può
ammirare l'elegante Palazzo Bongiovanni. Il
portone è sovrastato da una maschera sopra la quale, ad
aggetto, si trova la figura di un leone che regge un cartiglio
recante la data 1772, e che funge da sostegno centrale di
un balcone sagomato. La finestra centrale è segnata da volute.
Proseguire lungo via Mirabella. Una piccola deviazione a
destra permette di ammirare Palazzo Gargallo
(oggi sede dell'Archivio Distrettuale Notarile), in stile
neogotico. In corrispondenza di piazzetta del Carmine, si
incontra anche l'altro Palazzo Gargallo (n°
34), sempre nello stesso stile. Via Mirabella segna anche
l'inizio del quartiere arabo, caratterizzato da vicoli,
o ronchi, particolarmente stretti. In uno di questi si trova
anche la basilica paleocristiana di S. Pietro,
oggi auditorium, di cui si può ammirare il bel portale.
Sempre in via Mirabella, poco oltre, si incontra la chiesa
di S. Tommaso, di origini normanne (XII sec.). Riprendendo
la Mastrarua, al n° 111 si incontra un bel portale con esseri
mostruosi. Al n° 136,. invece, si trova la Casa Natale
di Elio Vittorini (nato il 23 luglio 1908).
Tempio
di Apollo - L'edificio, costruito nel VI sec. a.
C., è il più antico tempio dorico periptero (racchiuso da
colonne) della Sicilia. Secondo un'iscrizione dedicato ad
Apollo, secondo Cicerone ad Artemide, è stato trasformato
in chiesa bizantina, poi in moschea e di nuovo chiesa sotto
i Normanni. Si possono ancora vedere resti di colonne del
peristilio e una parte del muro del recinto sacro.
Dalla piazza si diparte Corso Matteotti, passeggio
di Ortigia, fiancheggiato da eleganti negozi.
PARCO
ARCHEOLOGICO DELLA NEAPOLIS
Vi sono due differenti ingressi: uno situato in via Rizzo
e l'altro in via Paradiso. Il percorso qui descritto prevede
l'entrata da via Rizzo.
Teatro
Greco - E' uno dei più imponenti dell'antichità. La
cavea è stata completamente scavata nella pietra sfruttando
la naturale pendenza del colle Temenite. La data di costruzione
è stata stabilita intorno al V sec. a.C. in base alla notizia
della rappresentazione della prima dei Persiani di Eschilo.
Ci è giunto anche il nome del probabile costruttore: Damocopo,
detto Myrilla per aver utilizzato unguenti (miroi) all'inaugurazione
del teatro.
Il teatro viene modificato da Ierone II nel III sec. a.C.:
divisa in nove cunei, la cavea è percorsa, a metà circa,
da un corridoio. Lungo la parete, in corrispondenza di ogni
settore, viene inciso il nome di una personalità o di una
divinità. Ancora oggi è possibile distinguere le lettere
che formano il nome di Giove Olimpio (DIOS OLYMPIOS ) nel
cuneo centrale e, proseguendo a destra, fronte alla scena,
quelli dello stesso Ierone II (BASILEOS IERONOS), della
moglie Filistide (BASILISSAS FILISTIDOS), e della nuora
Nereide (BASILISSAS NEREIDOS). Adattato in epoca romana
per giochi d'acqua (si suppone) e combattimenti fra gladiatori
prima della costruzione dell'anfiteatro, lo spazio viene
utilizzato anche in epoche successive in modo improprio.
Gli spagnoli infatti vi impiantano dei mulini ad acqua.
Nel settore centrale della cavea sono ancora visibili i
solchi lasciati da due macine ed il canale di scolo dell'acqua.
Alle spalle della cavea si trova un grande spiazzo su cui
si apre, al centro, la cosiddetta Grotta del Ninfeo
con vasca rettangolare ravvivata dalle acque di un acquedotto
greco che corre per circa 35 km e nasce dal Rio Bottiglieria,
affluente del fiume Anapo, nella zona di Pantalica. In disuso
durante il Medioevo, nel XVI sec, l'acquedotto viene riattivato
dal marchese di Sortino per alimentare i mulini impiantati
nel teatro. Sulla sinistra si apre la Via dei Sepolcri.
Nelle pareti che la fiancheggiano sono scavati ipogei di
epoca bizantina e nicchie votive che servivano, appunto,
per depositare offerte.
Ancora oggi al teatro vengono messi in scena spettacoli
classici greci e latini che si svolgono durante l'estate
(in giugno, tutti gli anni pari).
Orecchio
di Dionisio - Questa suggestiva grotta si trova in una
delle più belle latomie di Siracusa, la Latomia del
Paradiso, oggi un delizioso giardino ricco di aranci,
palme, magnolie. Come evoca il nome, l'aspetto della grotta
richiama un padiglione auricolare, sia nella sagoma dell'entrata
che nel disegno serpeggiante dell'interno. Fu Caravaggio,
durante un suo viaggio in Sicilia agli inizi del '600, ad
assegnarle questo nome, affascinato anche dalla leggenda
secondo la quale Dionisio il Vecchio, grazie all'eco eccezionale,
avrebbe potuto ascoltare, non visto, i suoi nemici.
La levigatezza delle pareti, così alte e regolari, e lo
sviluppo interno, quasi labirintico e sempre immerso nella
penombra, rendono difficile credere che si tratti di una
cava. In realtà, questa particolare conformazione è dovuta
alla tecnica di scavo utilizzata: una piccola fenditura
nella parte più alta, poi allargata verso il basso (forse
seguendo il tracciato di un acquedotto) man mano che si
scoprivano strati di ottima pietra. La grotta ha anche un'eccezionale
acustica e non è raro imbattersi in una guida, turista o
curioso che si cimenta nel canto dando bella prova di sè.
Molte le storie che circolano sulla grotta e sul suo utilizzo
una volta terminata: accanto all'ipotesi più veritiera che
la vuole adibita a prigione (come tutte le altre latomie)
e a quella più fantasiosa di "cornetto acustico" di Dionisio,
c'è anche chi sostiene che venisse utilizzata dal coro per
gli spettacoli al vicino teatro. Accanto si trova la Grotta
dei Cordari, così chiamata perchè utilizzata, fino
a poco tempo fa, da questi artigiani per intrecciare la
corda in un ambiente piacevolmente fresco. Visibile purtroppo
solo dall'esterno (per motivi di sicurezza) fornisce un
ottimo esempio delle tecniche di scavo.
Ara
di Ierone II - E' un immenso altare, lungo circa 200
m ed in parte ricavato nella roccia, eretto nel III sec.
a.C, dal tiranno per i sacrifici pubblici. Di fronte si
apriva una grande piazza rettangolare, probabilmente porticata,
con al centro una piscina.
Anfiteatro
Romano - E' stato costruito in epoca imperiale sfruttando
la conformazione del terreno che ha permesso di ricavare,
direttamente nella roccia, metà della cavea. E' la parte
meglio conservata. L'altro emiciclo invece era formato da
grossi conci di pietra riutilizzati nelle epoche successive.
Si possono ancora distinguere i due ingressi, uno a sud
ed uno a nord. Al centro dell'arena si apre un vano rettangolare
collegato all'entrata sud tramite un fossato. Era uno spazio
"tecnico" destinato ai macchinari scenici per la realizzazione
di effetti speciali durante gli spettacoli.
Di fronte all'ingresso all'anfiteatro si trova la chiesetta
preromanica di S. Nicolò dei Cordari (XI sec.)
sul cui lato destro è visibile la piscina romana utilizzata
per allagare l'anfiteatro in occasione delle naumachie e
per pulire l'arena al termine dei combattimenti tra gladiatori
e belve feroci.
Tomba
di Archimede - Visibile solo dall'esterno da via
Romagnoli, angolo via Teracati. All'estremità orientale
della Latomia Intagliatella si estende la Necropoli
Grotticelli. Tra le cavità ricavate nella roccia,
se ne evidenzia una particolare, dall'entrata abbellita
da colonne doriche (molto rovinate) e da un frontone a timpano.
E' la cosiddetta Tomba di, Archimede, in effetti un colombario
(ambiente con nicchie destinate ad accogliere urne funerarie)
di epoca romana.
Le
Latomie
Le
latomie, dal greco litos: pietra e temnos: taglio, sono
le antiche cave da cui venivano ricavati i blocchi di pietra
calcarea utilizzati per la costruzione di edifici pubblici
e grandi dimore. Dopo aver scelto la zona che offriva la
possibilità di estrarre conci regolari e di buona qualità,
si dava inizio allo scavo. Per estrarre la pietra si ricavavano
delle fenditure nelle quali venivano inseriti cunei di legno.
Si provvedeva poi a bagnare il legno che aumentava così
di volume spaccando la pietra.
Per trovare strati di pietra più compatta, lo scavo veniva
condotto in profondità, mediante l'apertura di grotte sempre
più imponenti. Per sostenere la volta di copertura di queste
cavità, venivano lasciati pilastri ricavati dalla roccia
stessa. Si calcola che in questo modo fosse possibile ottenere
quantità impressionanti di materiale. Una volta terminato
lo scavo questi ambienti venivano utilizzati come prigioni,
come riferisce anche Cicerone nelle Verrine. E' molto probabile
che il luogo in cui vennero segregati i 7000 Ateniesi fatti
prigionieri nel 413 a.C. fossero proprio le latomie. Rinchiusi
per otto mesi, perirono tutti, tranne alcuni che ebbero
la fortuna di essere venduti come schiavi e pochi altri
che, narra la leggenda, seppero citare i versi di Euripide
a memoria. Si deve inoltre pensare che a quei tempi l'aspetto
delle grotte era sicuramente diverso: esse erano più ampie,
più tetre e più adatte allo scopo, mentre quello che vediamo
oggi è il risultato di crolli dovuti soprattutto a scosse
telluriche. Nelle epoche successive questi spazi vennero
invece utilizzati per cerimonie funerarie, come rifugio
e poi come aree coltivabili e solo ultimamente si è pensato
di rivalutarne l'importanza storica e recuperarle.
Tracciando una mappa di tutte le latomie (ne sono state
individuate 12, ma alcune sono state " seppellite" dalle
costruzioni), si nota che esse si dispongono lungo una sorta
di arco che corrisponde al profilo della terrazza calcarea
che si eleva approssimativamente al confine dei due antichi
quartieri di Neapolis e Tyche.
La più suggestiva è la Latomia del Paradiso che si
trova nel Parco Archeologico. Si tratta in effetti di un
insieme di cave attorno alle quali è sorto un delizioso
giardino. Dall'alto (di fianco al teatro greco) si riesce
ad avere una visuale complessiva ed a distinguere alcuni
dei pilastri che sorreggevano la volta di copertura delle
grotte, crollata in seguito a movimenti tellurici.
Procedendo lungo la linea, verso est, si incontrano la
Latomia Intagliatella, la Latomia di S.
Venera, la Latomia del Casale e la
Latomia dei Cappuccini, forse la più grandiosa
e spettacolare grazie alle alte pareti scoscese.
MUSEO
ARCHEOLOGICO REGIONALE PAOLO ORSI
Situato,
quasi nascosto alla vista, nel parco di Villa Landolina,
il museo rappresenta uno dei punti di riferimento fondamentali
per la conoscenza del periodo preistorico della Sicilia
fino ai tempi delle colonie di Siracusa.
La visita si articola lungo un percorso che segue la nascita
e lo sviluppo delle varie fasi in ordine cronologico. Le
tre sezioni principali, ben strutturate, sono correlate
da una zona introduttiva centrale, sotto la quale, nell'interrato,
si trova un auditorium nel quale vengono proiettati audiovisivi
(programmazione all'entrata).
Settore
A: preistoria e protostoria - Aprono la visita le raccolte
di materiale fossile e di minerali, scheletri e resti di
animali preistorici corredati di ampie schede informative
sulla fauna insulare. Si passa quindi alle testimonianze
umane nel paleolitico e neolitico e alle varie culture susseguitesi.
Si tratta soprattutto di manufatti in ceramica tra i quali
emerge un grande vaso su un piede molto alto della cultura
di Pantalica: in ceramica monocroma rossa e lucida ha una
linea molto semplice ed elegante. Chiudono questa prima
parte i "ripostigli", insieme di oggetti di bronzo (punte
di lance, cinturoni, fibbie) racchiusi in un contenitore
e nascosti alla vista (sottoterra o in un anfratto).
Settore
B: la colonizzazione greca - Vengono presentati reperti
che testimoniano la nascita e lo sviluppo delle colonie
greche nella Sicilia orientale. Tre sono le colonie ioniche:
Naxos, Katane e Leontinoi. Da quest'ultima proviene il bel
Kouros acefalo in marmo. Due invece le colonie doriche:
Megara Hyblaea e Siracusa, particolarmente rappresentate.
La singolare statua della Dea Madre che allatta due gemelli
(VI sec. a.C.), in calcare, proviene dalla necropoli di
Megara Hyblaea. Acefala, seduta, ha un corpo imponente e
materno che si allarga ad accogliere e contenere i due neonati
che sembrano quasi divenire un tutt'uno con lei. La collezione
dedicata a Siracusa è molto ricca e comprende due dei reperti
più spesso riprodotti: la lastra fittile a bassorilievo
policromo di una gorgone, proveniente dal Temenos deIl'Athenaion,
ed il cavallino in bronzo, simbolo del museo, ritrovato
nella necropoli del Fusco. Prima della sezione dedicata
alla colonia di Siracusa è esposta (provvisoriamente) la
Venere Anadiomede, detta Venere Landolina dal nome dello
scopritore. Copia romana di un originale di Prassitele largamente
utilizzato come modello nell'antichità (Venere Medici, Venere
Capitolina), ha linee sinuose e gentili. La grazia del gesto
con cui sorregge il drappo è sottolineata dal delicato panneggio
plissettato che sembra suggerire, nella forma, una conchiglia.
Settore
C: subcolonie e centri ellenizzati - La prima parte,
dedicata alle subcolonie di Siracusa, presenta belle figure
antropomorfe tra cui quella di un cavaliere a cavallo. La
seconda invece illustra la storia dei centri minori. Spicca
la grande figura fittile di Demetra o Kore assisa in trono,
opera della seconda metà del VI sec. a.C. L'ultima parte
è dedicata ad Agrigento e Gela. Da quest'ultima provengono
l'imponente maschera di Gorgone dipinta, elemento del fregio
decorativo di un tempio ed una bella pelike attica a figure
rosse, opera di Polignoto.
Tre statuette arcaiche in legno provenienti da Palma di
Montechiaro costituiscono un raro esempio di arte votiva
probabilmente diffusa, ma poco testimoniata a causa della
deperibilità del materiale con cui veniva creata.
A
PASSEGGIO PER "TYCHE" E "ACRADINA"
Museo
del Papiro - La riscoperta del papiro a Siracusa è da
attribuirsi a Saverio Landolina che, nel XVIII sec., rivaluta
la presenza della pianta, utilizzata fino a quel momento
a scopo decorativo dalla popolazione locale, e riesce a
riprodurre il processo di fabbricazione della carta (nel
museo ve ne sono parecchi esempi).
Il materiale esposto nel museo copre tutti gli ambiti di
utilizzo del papiro, dagli scritti di epoca faraonica (tra
cui alcuni frammenti del Libro dei Morti), ai manufatti
in corda, ai ventagli, alle stesse varietà della pianta,
alle imbarcazioni leggere, adatte soprattutto alle zone
paludose, con estremità leggermente rialzate ed ancora utilizzate
per caccia e pesca da alcune popolazioni africane. L'ultima
parte è dedicata alla carta: dalla sua fabbricazione (ricostruzione
di un tavolo da lavoro) ai pigmenti e strumenti utilizzati
dallo scriba.
Catacombe
di S. Giovanni - Sorgono nella zona di Acradina, che
fin dal periodo romano è stato luogo deputato al culto dei
morti. Al contrario delle catacombe romane, scavate in fragile
tufo e quindi forzatamente anguste (per scongiurare il pericolo
di crolli), quelle siracusane sono state scavate in uno
strato di solida roccia calcarea che permise il crearsi
di ampi spazi.
Le Catacombe di S. Giovanni, sorte intorno alla tomba di
S.Marciano, uno dei primi martiri, hanno una struttura complessa
e risalgono al IV-V sec. Si costituiscono intorno ad un
rettilineo principale ricavato seguendo il tracciato di
un acquedotto greco probabilmente in disuso. Da esso si
staccano, ad angolo retto, i cardini minori. I sepolcri
si trovano lungo le pareti e sono ad arcosolio e polisomi,
cioè a più "posti", fino ad un numero massimo di venti.
Tra l'uno e l'altro si trovano loculi più piccoli e meno
profondi destinati ai bambini. Ad intervalli si aprono aree
circolari o quadrate, utilizzate dai cristiani come camere
sepolcrali di martiri e santi. Tra queste la più nota è
la Rotonda di Adelfia, ove è stato ritrovato un bellissimo
sarcofago scolpito con scene bibliche (in attesa di collocazione
probabilmente al 2° piano del Museo Archeologico). Lungo
il tracciato si incontrano inoltre cisterne coniche di epoca
greco-romana trasformate poi in cubicoli.
Cripta
di S. Marciano - Si trova vicino alla necropoli, ove
si suppone sia stato ucciso il martire. A croce greca è
circa 5 m sotto il livello del terreno. La parete di fondo
si apre in tre piccole absidi semicircolari. In quella di
destra si trova l'altare dove si dice abbia predicato l'apostolo
Paolo al suo ritorno da Malta, nel 60 d.C (Atti degli Apostoli,
cap. 28, 12). Di fianco, sul lato destro si trova un sepolcro
in muratura che la tradizione identifica come quello del
martire. Si tramanda che la finestrella sul lato permettesse
ai fedeli di vedere e passare un panno sul corpo del santo
per poi conservarlo come reliquia. Ai quattro angoli della
volta centrale si elevano pilastri sormontati da capitelli
bizantini con la raffigurazione dei quattro evangelisti.
Basilica
di S. Giovanni Evangelista - Sorge sopra la cripta.
Diroccata e scoperchiata, è uno dei luoghi più affascinanti
di Siracusa e la suggestione si fa più intensa al tramonto
soprattutto dei giorni festivi, al momento delle celebrazioni
religiose. Le origini della basilica sono legate alla cripta
del martire, sopra la cui sepoltura si era soliti edificare
un luogo di culto. Distrutta dagli Arabi, la basilica è
stata ripristinata dai Normanni. La facciata della chiesa
normanna, ornata di un bel rosone, è ancora visibile lungo
il lato sinistro. Il terremoto ha distrutto gran parte della
chiesa e ha fatto crollare il tetto, non più ricostruito.
Il portico che precede la facciata è una ricostruzione fatta
utilizzando materiale deI '400.
All'interno l'altare principale, fiancheggiato da un'euforbia
a candelabro, è bizantino.
Basilica
di S. Lucia extra Moenia - Si affaccia sull'omonima
piazza, grande spazio rettangolare pervaso di tranquillità.
La tradizione vuole la sua edificazione nello stesso luogo
del martirio della santa awenuto nel 303 e testimoniato
dalla tela di Caravaggio (oggi a palazzo Bellomo). Bizantina,
è stata rimaneggiata in seguito, fino alla sua forma attuale,
che risale al XV-XVI sec. Le parti più antiche ancora esistenti
sono il portale della facciata, le tre absidi semicircolari
e i primi due ordini del campanile (XII sec.). Il soffitto
ligneo a capriate con decorazioni dipinte risale al XVII.
Sotto la chiesa sussistono le Catacombe di S. Lucia
(non visitabili), presenza che avvalorerebbe la tesi del
martirio in questi luoghi.
Sulla stessa piazza, un piccolo edificio ottagonale, opera
di Vermexio, è il sepolcro destinato alla Santa, i cui resti,
portati a Costantinopoli nell'XI secolo dal generale bizantino
Maniace, poi a Venezia in seguito alla presa della città
durante la quarta crociata, sono oggi conservati nel Duomo.
Santuario
della Madonna delle Lacrime - Visibile fin da lontano
per la sua struttura conica in cemento armato, imponente
(80 m di diametro alla base per 74 di altezza) e singolare,
il santuario è nato in seguito ad un evento prodigioso awenuto
nel 1953 (la lacrimazione di un quadro della Madonna) ed
è meta oggi di numerosi fedeli. E opera degli architetti
francesi M. Andrault e P. Parat e dell'italiano R. Morandi
che si è occupato della parte strutturale. All'interno la
vertiginosa sensazione di altezza viene sottolineata e valorizzata
dalle linee verticali e dalle strette finestre che corrono
verso l'apice.
Ginnasio
Romano - Si trova lungo via Elorina, poco oltre il Foro
Siracusano, e, come quest'ultimo. faceva parte dell'antica
agorà di Acradina. La denominazione è errata. Si tratta
in realtà di un edificio complesso formato da un quadriportico,
un piccolo teatro di cui sono ancora visibili i gradini
della cavea ed un tempietto marmoreo che costituiva la scena.
"EPIPOLI"
Castello
di Eurialo - Lungo via Epipoli, in località Belvedere,
a 9 km ca a nord-ovest. La strada che raggiunge la fortezza,
permette di rendersi conto dell'imponente aspetto difensivo
che la città assume sotto Dionisio il Vecchio. L'abile stratega,
oltre a fortificare Ortigia. decide di cingere la città
di mura inglobando anche i due quartieri di Tyche e Neapolis,
fino a quel momento extra-moenia. e quindi facili prede
di attacchi. In quest'ottica dà inizio alla costruzione
delle imponenti mura dionigiane (27 km) lungo
l'altopiano dell'Epipoli, che racchiude a nord la città.
La cinta era costituita da due pareti parallele di blocchi
squadrati di pietra calcarea il cui interstizio era riempito
di pietrame. Alta 10 m e larga circa 3 m. era provvista
di postierle che assicuravano il passaggio senza offrire
al possibile nemico un facile punto di attacco, come invece
potevano essere le porte (proprio per questo erano affiancate
da torri difensive). Un tratto delle mura è visibile lungo
la strada che conduce a Belvedere (sulla sinistra).
Sulla sommità dell'altipiano viene edificato il castello,
chiamato Eurialo dal nome del promontorio su cui sorge,
a forma di testa di chiodo (gr. Euryelos). La fortezza è
una delle più imponenti dell'antichità. Tre erano i fossati
da superare prima di giungere al mastio, cuore della fortezza,
e percorsi da gallerie sotterranee che rendevano impossibile
controllare il passaggio delle guarnigioni e dei rifornimenti
e facilitavano lo sgombero dei materiali che i nemici gettavano
nei fossati, Il nemico, se mai fosse riuscito ad entrare,
sarebbe rimasto disorientato. L'ingresso della zona archeologica
coincide con il primo di quei fossati. Poco più avanti si
delinea il secondo, profondo, dalle pareti verticali ed
infine il terzo, vera e propria opera strategica. Quest'ultimo
presenta tre piloni alti e ben squadrati che testimoniano
l'esistenza di un ponte Ievatoio comunicante con l'area
del mastio. Il lato orientale è percorso da una serie di
gallerie comunicanti una delle quali, lunga addirittura
200 m, giungeva fino alla porta a tenaglia (Tripylon), una
delle uscite della fortezza. Lungo il lato occidentale del
fossato si aprivano invece dei vani adibiti a deposito per
le vettovaglie.
Alle spalle si erge il mastio quadrato, preceduto da un
imponente schieramento di cinque torri difensive. Oltre
il mastio si penetra in un recinto con ancora visibili,
sulla destra, tre cisterne quadrate. Sulla punta estrema,
si gode di un bel panorama su Siracusa (di fronte) e, a
sinistra, sulla piana.
FUORI
CITTA'
Tempio
di Giove Olimpico - Lungo via Elorina, a circa 3
km dalla città, alla fine di una stradina che si diparte
sulla destra (indicazione).
In posizione panoramica, leggermente sopraelevato, il tempio
è stato costruito intorno al VI sec. a.C. L'aspetto, grandioso,
doveva essere pari all'importanza che l'edificio rivestiva.
Fonte
Ciane - 8 km a sud-est. La foce del Ciane, che
quasi si unisce al vicino fiume Anapo, principale collegamento
con la zona interna di Pantalica è il punto di partenza
per l'escursione in barca che permette di risalire un tratto
del corso d'acqua. Appena partiti si giunge in vista del
porto grande di Siracusa (bel panorama) per poi proseguire
lungo un tratto ove la vegetazione è ricca di canne, frassini
secolari ed eucaliptus. Poi, oltre una chiusa, ci si immerge
in una rigogliosissima "folla" di papiri che si china sull'acqua.
E' qui che secondo il mito la ninfa Ciane, legata ad Anapo,
si oppone al rapimento di Persefone da parte di Ade e viene
per questo tramutata in sorgente.
STORIA
Colonizzata
intorno all'VIII sec. a.C. dai Greci di Corinto che si stanziano
sull'isola di Ortigia. Siracusa cade ben presto
in mano a tiranni. Al momento del suo massimo splendore
(V-IV sec. a.C.) la città conta circa 300.000 abitanti e
domina la Sicilia. Tra il 416 ed il 413 si scatena un furioso
conflitto tra Siracusa ed Atene, i cui guerreri sono capeggiati
da Alcibiade. E' uno degli episodi più famosi e cruenti
della storia antica. Passata ai Romani, viene poi occupata
dai barbari, dai Bizantini, dagli Arabi e dai Normanni.
I
tiranni di Siracusa - Il tiranno, figura antica che
corrisponde all'odierno dittatore, è uno dei personaggi
che spesso si incontra ripercorrendo la storia della Sicilia
in periodo ellenistico ed in particolare di Siracusa. Gelone,
già tiranno di Gela, nel 485 a.C. estende il suo dominio
su Siracusa. Le sue mire espansionistiche causano l'ostilità
dei Cartaginesi che si trasforma ben presto in aperto scontro.
Gelone, alleatosi con Terone, tiranno di Agrigento, riesce
a sconfiggerli nella celebre battaglia di Himera (485 a.C.).
Gli succede il fratello Ierone che durante il suo governo
aiuta Cuma a sbarazzarsi della minaccia etrusca (474 a.C.).
Dopo un breve periodo di democrazia caratterizzato da scontri
con Atene, sale al trono il famoso Dionisio il Vecchio
(405-367). Stratega accorto, basa il suo governo sul consenso
popolare, ottenuto attraverso regalie e favori, e sulla
sua figura di difensore contro il pericolo punico, che però
non riesce a sgominare. Sotto di lui Siracusa diviene una
vera e propria potenza. Da un punto di vista personale,
invece, appare come una figura sospettosa, timorosa di complotti
contro di lui. Le paure divengono vere e proprie manie di
persecuzione e sfociano nella sua volontaria reclusione
nel castello di Ortigia, da lui resa fortezza inespugnabile
e dimora riservata alla corte. La sua storia è costellata
di stranezze che danno adito a numerose dicerie, a metà
tra la leggenda e la realtà. Narrano quindi Valerio Massimo,
Cicerone e Plutarco che, non fidandosi dei barbieri, il
tiranno affida alle figlie il compito di raderlo, ma, intimorito
che esse stesse possano ucciderlo, le obbliga ad utilizzare
gusci di noci arroventati al posto di coltello e cesoie;
fa scavare intorno al talamo nuziale un piccolo fossato
con un ponticello che toglie dopo essersi coricato e, per
dimostrare come la vita di un regnante sia densa di pericoli,
fa appendere sopra il capo di Damocle, cortigiano invidioso,
una spada affilata e sostenuta da un semplice crine di cavallo
(da qui la locuzione Spada di Damocle utilizzata per esprimere
l'incombere di una minaccia). La sua cupidigia lo porta
persino, si dice, ad appropriarsi del mantello aureo della
statua di Zeus e a farlo sostituire con uno di lana.
Alla sua morte sale il figlio, Dionisio il Giovane,
non dotato delle stesse capacità politiche del padre, seguito
dal sanguinario Agatocie, che per prendere il potere non
esita a massacrare gli aristocratici. Anche il suo tentativo
di scacciare i Cartaginesi dalla Sicilia si rivela vano
(sconfitta ad Imera nel 310 a.C.)
L'ultimo dei tiranni a governare Siracusa è Ierone II. Nel
212 la città passa nelle mani dei Romani sotto i quali diviene
capitale della provincia di Sicilia.
Le
distrazioni di Archimede - Della vita di Archimede,
celebre matematico nato a Siracusa nel 287 a.C., non si
hanno notizie certe. Si narra che fosse così distratto ed
assorto nei suoi studi da dimenticare persino di bere e
di mangiare. I suoi servitori erano costretti a trascinarlo
a forza ai bagni ed anche là continuava a tracciare figure
geometriche disegnando nella cenere. E' nella sua vasca
da bagno che scoprì il principio che lo rese famoso: un
corpo immerso in un liquido riceve una spinta uguale e contraria
al peso del volume di liquido spostato. Raggiante si alzò
di scatto e uscì di casa correndo ed urlando "Eureka" (ho
trovato!).
Si occupò di aritmetica, geometria, fisica, astronomia ed
ingegneria. Tra le sue invenzioni meccaniche vi sono la
coclea (o vite di Archimede), un cilindro contenente una
superficie elicoidale, la ruota dentata, le sfere celesti
e gli specchi ustori, un gioco di lenti e specchi con i
quali riuscì ad incendiare la flotta romana. Si narra inoltre
che quando i Romani riuscirono a penetrare nella città,
Archimede, immerso nei suoi calcoli, non se ne accorse e
morì trafitto dalla spada di un soldato.
Le
muse di Siracusa - Durante il periodo antico la città
svolge un ruolo fondamentale per le arti. Molti dei regnanti
infatti si interessano anche dell'aspetto artistico ed accolgono
poeti e scrittori. C'è anche chi, come Dionisio il Vecchio,
si cimenta nello scrivere, pur senza grande successo. Il
primo ad interessarsi concretamente all'arte è Ierone I
che si proclama protettore dei poeti e riceve alla sua corte
artisti del calibro di Pindaro e Eschilo,
padre della tragedia antica ed autore dei Persiani (470
a.C ca) e delle Etnee, rappresentati nel teatro greco che
sorge nel quartiere di Neapolis. Platone ha
con Siracusa, ma soprattutto con i suoi regnanti, un rapporto
travagliato. Dionisio il Vecchio lo accoglie a malincuore,
per poi espellerlo poco dopo: alla sua morte il filosofo
ritorna (protetto dal reggente Dione), ma anche questa volta
viene espulso da Dionisio II e fallisce il suo progetto
di creare uno stato filosofico. Teocrito,
iniziatore di quella poesia bucolica in cui poi brillerà
Virgilio, è probabilmente originario della città. In tempi
più recenti Siracusa dà i natali a Salvatore Quasimodo
(1901-1968), poeta pervaso del malessere di vivere che esprime
con versi sempre più ermetici e incisivi che gli valgono,
nel 1959, il Premio Nobel.
TURISMO
Siracusa
dal mare
- E' possibile compiere il giro del Porto Grande e
dell'Ortigia, affidandosi alla Motonave Selene che
da marzo a novembre (ed oltre, se il tempo ed il mare lo
permettono) naviga sottocosta offrendo una visuale ed una
prospettiva diversa della città. Il giro, della durata media
di 35 min, può essere "allungato" a piacere ed includere,
su prenotazione, il pranzo o la cena. Particolarmente suggestivo
il percorso nelle ore del tramonto o di notte quando i singoli
punti di interesse vengono di volta in volta illuminati.
E bene sottolineare che questo è anche l'unico modo per
avere piena visione ravvicinata del Castello Maniace che,
in quanto caserma militare, non è visitabile nè visibile
dalla terraferma (se non dal lungomare di Levante).
Non
solo alberghi - Il Domus Mariae è un piccolo ed elegante
albergo gestito da religiose, proprio nel cuore di Ortigia.
La zona di Siracusa e provincia offre una serie di alternative
al più tradizionale albergo, quali il campeggio ed i centri
agrituristici. Gli indirizzi e le caratteristiche sono disponibili
presso l'Azienda Provinciale per l'Incremento Turistico
di Siracusa. E per cenare si consiglia di restare in Ortigia
ove i vicoli nascondono ristoranti caratteristici.
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