LA PASQUA NEGLI IBLEI: FEDE E FOLKLORE
Giuseppe Coria
La
parola Pasqua deriva, attraverso il latino pascha
ed il greco paska, dallebraico pesah, il cui
significato - non del tutto chiarito - dovrebbe indicare
il passaggio. La istituzione della Pasqua ebraica
è antichissima (è descritta nellEsodo),
mentre la celebrazione della Pasqua cristiana si fa risalire
a un periodo tra II e il III secolo d.C.
La sua data ha per estremi
il 22 marzo ed il 25 aprile e cade sempre di domenica, precisamente
nella domenica che segue il plenilunio dellequinozio
primaverile. E considerata la più grande festa
della cristianità e tutto il mondo dei fedeli, con
le tradizioni, usi e costumi di ciascuna cultura ed etnia,
vuole esserne comunque partecipe.
Nei rituali, durante la Settimana
di Passione o Settimana Santa, formata
dai giorni che precedono la Pasqua, si commemora il travaglio,
il calvario di Gesù mentre la Domenica di Pasqua
è un giorno di festa, di vera festa, che celebra
il Gesù Risorto. Pur nella semplicità temporale
contrassegnata da pochi giorni di calendario, le manifestazioni
rituali e celebrative sono complesse ed articolate, per
via delle tradizioni che si sono man mano radicate non solo
in ogni popolo, ma addirittura nelle piccole comunità.
In definitiva, sul canovaccio comune della Settimana Santa
e della Domenica di Pasqua, si sono costruite innumerevoli
celebrazioni, delle quali è impossibile fare una
descrizione completa.
Ogni città della Sicilia
partecipa alle festività pasquali con dei riti che
sono propri, derivanti cioé da usi e costumi locali,
da antichissime costumanze e da radicate tradizioni delle
quali non sempre se ne può cogliere laspetto
originario e le motivazioni. In particolare è la
Settimana Santa che viene vissuta dai fedeli
secondo un elemento comune a tutti: la rappresentazione
del Calvario di Cristo, che si concluderà con la
Crocifissione (il tutto con processioni e rituali mesti,
tipici del lutto), e quindi con la Resurrezione, che segna
il momento della gioia e della festa vera e propria. E così
in un paese viene celebrato il Cristo alla Colonna,
in un altro si dà maggior spazio alla processione
funebre che porta il Cristo al Calvario; in un altro ancora
si ha una vera rappresentazione - con personaggi attori
- che, sul copione di un autore locale, fanno rivivere la
tragedia del Golgota.
Ma si hanno infinite sfumature,
particolari celebrazioni, emozionanti scenografie e quindi
incredibili quanto fantastici costumi di antichissime confraternite,
pellegrinaggi, cortei di uomini e di animali bardati, campane
mute per il lutto, e poi scampanii a mai finire al momento
giusto. Occorrerebbe viverle, queste giornate, una ad una,
in tutta la Sicilia: le più celebri rappresentazioni
sono quelle di Trapani, di Caltanissetta, di Enna; ma varrebbe
la pena vedere quelle di Taormina, di Erice, di Milazzo;
od ancora i nudi di Mineo, le maschere della
Morte e del Diavolo a Casteltermini, le verginette
di Montedoro; e lelenco potrebbe continuare.
Sono queste, giornate veramente
vissute da parte dei fedeli, che partecipano a tutte le
manifestazioni del calendario, tra fede e folklore, senza
saper distinguere - forse è meglio dire senza voler
distinguere - dove finisce il limite della fede ed inizia
quello del folklore. E' una festa intima, da trascorrere
in famiglia; notissimo infatti il proverbio che lo sottolinea:
Natali e Pasqua cu li toi, Carnalivàri cu ccu
voi.
Nella regione degli Iblei da
secoli, per le ricorrenze pasquali, si tramandano antiche
usanze ed inveterate tradizioni.
In particolare, durante i riti
della Settimana Santa, si nota ovunque, ed immediata, la
partecipazione di tutto il popolo che vive le
processioni del Cristo alla Colonna, o le rappresentazioni
del Calvario, od ancora lIncontro
tra La Madonna ed il Figlio, partecipando quasi come se
la tragedia di Cristo fosse un fatto di famiglia, e come
se al posto di Gesù, ci fosse il figlio di ciascuno.
Il lutto della chiesa diventa così il lutto di tutti,
senza alcuna retorica o falsi atteggiamenti; ed ogni fedele
si immedesima nella triste rievocazione con tutte quelle
sollecitazioni che i sentimenti tristi suscitano nelle meste
occasioni.
Ma ecco che alla Resurrezione,
quando si sciolgono le campane, quegli stessi
fedeli, fino ad allora in gramaglie, di colpo si allietano,
e gioiscono: anche se inconsciamente, si sentono liberati
da un senso di colpa, dalla responsabilità di sentirsi
loro stessi carnefici ed aguzzini perché peccatori;
e conseguentemente - quasi con un sospiro di sollievo e
con lanimo più sereno - partecipano totalmente
alla gioia collettiva della Festa Pasquale.
Può sembrare strano,
anacronistico, che in unepoca modernissima come la
nostra - arida di sentimenti e sempre più scarsa
di valori morali di riferimento - i fedeli tutti sentano
ricrescere nella Pasqua il bisogno del divino: un momento
di riflessione forse, o lurgente bisogno di recuperare
la fede perduta, o smarrita o indebolita.
Iniziamo quindi la nostra rassegna
da RAGUSA IBLA. Quì la Pasqua viene solennemente
festeggiata rispettando un calendario con rituali che si
sono consolidati nel tempo. La Domenica delle Palme dà
inizio alle celebrazioni: gli 80 confrati della chiesa di
S. Maria dellItria muovono con il loro simulacro (lAddolorata)
dalla chiesa di appartenenza e si portano alla chiesa madre
di S. Giorgio. Analogamente fanno i 70 confrati della chiesa
di S. Maria Maddalena e S. Teodoro con il simulacro della
Maddalena ed infine i confrati del SS. Rosario
che, dalla loro chiesa di S. Francesco dellImmacolata,
portano il simulacro del Cristo alla Colonna.
Il Lunedì Santo ecco
altre due confraternite che portano i loro simulacri dalle
Chiese di appartenenza alla chiesa madre: si tratta dei
25 confrati di S. Giacomo Apostolo che muovono dalla chiesa
del Crocefisso con il simulacro di Gesù nellOrto,
ed i confrati di S. Maria dello Spasimo - detti anche della
Buona Morte - che partono dalla chiesa omonima (detta
anche di S. Lucia), con il simulacro della Pietà".
Il Martedi Santo è il
turno dei 36 confrati di S. Filippo Neri che dalla chiesa
omonima, con il simulacro della Veronica, si
portano anchessi nella chiesa di S. Giorgio.
Tutte queste confraternite
- delle quali è impossibile stabilire esattamente
le date delle rispettive origini - con i loro colori, simboli
e simulacri, si sono portati nella chiesa madre dove è
esposto il SS. Sacramento delle 40 ore (così
detto in ricordo delle 40 ore durante le quali Gesù
rimase chiuso nel sepolcro) per ladorazione del simbolo
di Cristo, effettuando dei turni di veglia.
Il Giovedì Santo, come
da tradizione, in quasi tutte le Chiese vengono allestiti
i Sepolcri davanti ad alcuni altari, con fiori
ed ornamenti funebri, in quanto si vuole simboleggiare proprio
il sepolcro dove fu seppellito Gesù. Sono originali
certi vasi o piatti che vengono portati dai fedeli nei quali
è stato seminato del frumento od orzo o altri cereali;
la tenera erbetta - resa bianca per essere stata fatta crescere
al buio - viene legata intorno da nastri bianchi e rossi
(prendono il nome dialettale di lavùri a lavurieddi,
ossia piccolo seminato). La tradizione vuole che i sepolcri
vengano visitati in numero dispari, ed in alcuni
paesi - come vedremo - sussistono usanze particolari.
Vale la pena, a proposito dei
sepolcri, ricordare che questa abitudine di
ornare gli altari con piatti fioriti, si riallaccia alle
antiche feste Adonìe dellantica Roma pagana,
durante le quali questi orticelli simbolici venivano portati
in processione: con essi si voleva rappresentare la tristezza
di Venere per la morte di Adone e quiridi la successiva
contentezza ed allegrezza per il ritorno di Adone, uscito
dalle mani di Proserpina, e ritornato a Venere.
Abbiamo detto in quasi
tutte le Chiese; infatti, ad esempio, è tradizione
che i sepolcri non vengano allestiti nella chiesa del Crocefisso
(situata nella Villa di Ibla) dove per unaltra antica
consuetudine (che sembra risalire addirittura al 1573),
si attua loscuramento che consiste nel
lasciare la chiesa al buio per una più suggestiva
venerazione del Cristo.
Ed eccoci giunti al Venendì
Santo, quando dalla chiesa di S. Giorgio, muove una processione
con i simulacri del Cristo Risorto e della Addolorata,
portati dalle rispettive confraternite; il mesto corteo,
dopo aver percorso alcune vie di Ibla, rientra nella chiesa
di partenza.
Anche
a CHIARAMONTE GULFI le celebrazioni della Pasqua sono articolate
nelle varie giornate e seguono un preciso calendario di
ritualità, ormai consolidatosi nel tempo.
Il Lunedì Santo si svolge
la processione dei confrati delle congregazioni di S. Vito
e S. Filippo che indossano un saio bianco e cappucci con
mantelline di colore blu (quelli di S. Vito) e viola (quelli
di S. Filippo), precedono il simulacro della Croce
di Cristo, seguiti da tamburi percossi con il tipico
ritmo delle processioni funebri. Queste congregazioni, partite
dalle rispettive ed omonime chiese di appartenenza, si portano
alla chiesa madre, dove seguiranno funzioni religiose.
Il Martedì Santo, con procedimenti
analoghi, si ha la processione delle congregazioni di S.
Giovanni e del SS. Salvatore; mentre il Mercoledì
Santo è il turno della congregazione del SS. Sacramento
(i cui confrati sono chiamati cordigeri).
Il Giovedì Santo, si
allestiscono i sepùlcra. Fino a pochi decenni
or sono era tradizione chiaramontana che il popolo ne visitasse
sette, compiendo in questo modo i cosiddetti
sacraménta; non si trattava solo di visite
con relative preghiere, ma di un rituale che comprendeva
anche la consumazione di cibarie sul sagrato dellultima
chiesa visitata; i sacraménta venivano perciò
effettuati dalla intera famiglia, che si portava appresso
le vettovaglie e quindi, compiuta lultima delle sette
visite, dopo avere recitato u Rusàriu do Santissimu
Saramientu, consumava allaperto la colazione al sacco.
Il Giovedì Santo, un
tempo, si svolgeva la processione mattutina del Cristo
alla Colonna, il cui simulacro è custodito
nella chiesa di S. Giovanni ed era accompagnato da tutte
le congregazioni, oltre che dalla folla che intonava canti
funebri. Le soste e le partenze del corteo venivano scandite
da due tipici strumenti in legno - comuni in tutta larea
degli Iblei - i cirrìi (una ruota dentata
sulla quale striscia una assicella) e le scattiòle,
altrove dette truòcculi, od anche tròccula,
bàttula, o ancora firricciuòcciulu
e firricchiòcchiaru (una tavoletta di legno
fissa e due altre laterali mobili). Luso di questi
strumenti, che agitati da un addetto provocano un rumore
caratteristico, nasce dalla tradizione di legare le
campane nei giorni di lutto, e conseguentemente di
non usare neanche le campanelle.
La processione si concludeva
nella chiesa madre, in tempo per la messa di mezzogiorno,
durante la quale organi, orchestra e cantanti lirici appositamente
ingaggiati, davano forza e suggestione al rito.
Nel pomeriggio, ancora nella
chiesa madre, si avevano le sette prediche;
le altre chiese erano invece continua meta di pellegrinaggi
da parte dei fedeli in visita ai sepùlcra.
Il Venerdì Santo conclude
i riti pasquali con la processione dei simulacri del Cristo
Morto, deposto in un urna, e della Madonna,
alla quale partecipano tutte le congregazioni con i confrati
tutti incappucciati, le autorità cittadine, la folla
dei fedeli, la banda, oltre - naturalmente - al clero.
La Pasqua, a COMISO, ha secolari
quanto pittoresche e sfarzose celebrazioni.
Il Mercoledì Santo si
svolge una processione - caratterizzata dalla presenza di
diverse confraternite - detta la comparativa
che compie tre girinelle principali strade del paese. Ha
inizio dalla chiesa madre e passa dalle chiese di S. Biagio,
dellImmacolata e dellAnnunziata; il primo giro
è dei Sacerdoti, il secondo della confraternita di
Maria SS. Addolorata, ed il terzo della congregazione del
SS. Sacramento (i cui confrati portano sul capo una corona
di spine).
Il Giovedì Santo è
tradizionale la preparazione e visita ai sepolcri: famoso,
un tempo, era quello preparato nella chiesa dellImmacolata,
smagliante per il grande tappeto fatto con petali multicolori
di fiori.
Il Venerdì Santo si
ha la processione serale del Cristo Morto, nella
quale il simulacro, composto entro unurna, e quello
della Madonna Addolorata, muovono dalla chiesa
madre e percorrono le vie della città seguiti da
un imponente corteo di folla. Durante la processione vengono
cantati i Misteri e recitato il Rosario.
Nei tempi passati erano vivissime
le lotte tra il clero di questa chiesa e di quello della
rivale chiesa dellAnnunziata - sostenuti naturalmente
e rispettivamente dai fedeli matrichisiari e nunziatari
- che si contendevano il privilegio di organizzare e condurre
in esclusiva questa processione: solo accordi imposti dallalto
consentirono, con decisione salomonica, di assegnarlo alla
Matrice negli anni dispari, ed alla Annunziata negli anni
pari: cosa che avviene ancora oggi.
Va infine ricordato che quando
la processione viene organizzata dalla chiesa dellAnnunziata,
i simulacri sono quelli della Pietà",
e del Cristo nellurna.
Il Sabato Santo, al tramonto
(una volta il rito avveniva a mezzanotte), nella chiesa
dellAnnunziata gremita di fedeli, si compie la tradizionale
svelata del Cristo Risorto, consistente nella caduta di
un enorme telo che copre laltare maggiore, e conseguentemente
la comparsa del simulacro del Cristo Risorto:
nello stesso istante si sciolgono le campane
le quali, con i loro squilli festosi, annunciano al popolo
il momento magico della Resurrezione.
Dopo la svelata inizia la processione
del SS. Sacramento, il cui simbolo viene portato prima nella
piazza Diana e poi accompagnato da fastosa luminaria, attraverso
le principali vie della città.
Anche in questa giornata, caratterizzata
dallo sciogliersi delle campane rimaste mute
per tre giorni, si verificarono (e questo fino ai primi
anni di questo secolo) alterchi e risse, per la rivalità
fra le chiese che si contendevano il privilegio di suonarle
prima. Si risolse la questione inizialmente affidando il
compito, ad anni alterni, alle due chiese (la Matrice e
la Nunziata), mentre in seguito si consolidò luso
- da tutti accettato - che fosse la chiesa madre ad iniziare
lo scampanìo.
Il Sabato Santo, di sera, si
svolge infine la notturna, che inizia dopo la
processione anzidetta del SS. Sacramento: consiste in una
processione senza simulacri, con fiaccole accese portate
dai fedeli, banda, luminaria e giro del corteo per le vie
della città.
La
Domenica di Pasqua si raggiunge forse il momento più
toccante delle celebrazioni pasquali comisane, con un rituale
indicato da tutti col nome a paci, la pace. La festa
- perché di atto festoso si tratta - consiste nel
formarsi di una processione con il simulacro del Cristo
Risorto e quello della Madonna Annunziata,
ai cui piedi - sui fercoli - vengono posti dei bambini vestiti
da angioletti con il compito di intonare lallelluja
ad ogni pace. Proprio davanti la Basilica ha
luogo la prima pace, che consiste nel fare avvicinare
- fino a toccarsi - i due simulacri, spinti velocemente
lun contro laltro dai portatori, in un simbolico
abbraccio tra la madre - addolorata per la morte del Figlio
- e Gesù, ormai risorto.
La
processione si snoda per le vie della città, per
tutto il giorno e per tutto il paese, ripetendosi le paci
davanti ad ogni chiesa, e così fino a sera, quando
il corteo arriverà nella piazza principale, dove
avrà luogo lennesima e conclusiva pace.
Rientrano quindi nella Basilica i due simulacri, accompagnati
da botti e giochi pirotecnici.
Era questa la festa dei nunziatari
(i fedeli della chiesa dellAnnunziata), un tempo occasione
di veri e propri scontri fisici con i matrichisiari
(ossia della chiesa madre, o dellImmacolata) i quali
avevano in serbo una festa prestigiosa - quella di Maria
Addolorata - in piena competizione luna contro laltra.
Sicché in questo giorno - inutilmente detto della
pace - i nunziatari non si lasciavano scappare occasione,
dal sabato a tutta la domenica, di sparare mortaretti in
continuazione, ma soprattutto di suonare ininterrottamente
le campane (avvicendandosi con squadre di uomini i quali
seguivano dei veri e propri turni), per dare così
il segno della loro presenza, e quindi palesemente infastire
i matrichisiari.
Ad ISPICA, per Pasqua, si hanno
due celebrazioni antagoniste - che si svolgono rispettivamente
il Giovedì ed il Venerdì Santo. La prima,
del giovedì, è la festa dei cavàri,
i cui devoti si accaparrano il simulacro del Cristo
alla Colonna (u patri a culonna), mentre il
venerdì si celebra la festa dei nunziatari, con il
loro Cristo con la Croce (u patri a cruci).
Si è detto antagoniste
perché - allorigine - si trattava di due fazioni
che, per i soliti motivi originati da situazioni di classe
(e quindi economiche, sociali e politiche), hanno cercato
nel tempo ciascuna di rendere la propria celebrazione religiosa
più importante dellaltra, approfittando delloccasione
per scaricare i vecchi rancori accumulati durante lanno.
Naturalmente manca oggi lo spirito fazioso e le rivalità,
mentre nel compenso sono rimasti pressocché immutati
i rituali e le relative tradizioni.
Le celebrazioni hanno inizio
il Giovedì Santo quando, verso le due del mattino,
si muove la Via Crucis notturna dalla chiesa di S. Maria
della Cava: i fedeli, nottetempo, si riunivano davanti a
questa piccola chiesetta scavata nella roccia, al centro
delle abitazioni neolitiche, provenienti da ogni parte;
e si tratta non solo di adulti, ma anche di piccoli ed anzianissimi.
Ad un certo punto, ad un segnale
stabilito, si accendono le fiaccole, e si vede svettare
una croce: è il segnale dellinizio della silenziosa
processione che - in uno scenario suggestivo - muoverà
dalla cava in lunghissimo corteo.
E passo dopo passo questa folla
di fedeli raggiungerà, un paio dore dopo, la
chiesa di S. Maria Maggiore, ove altra folla già
attende sul sagrato, in attesa di entrare tutti insieme
nel tempio. Appena la chiesa è gremita, ha inizio
il rituale più importante della manifestazione e
che caratterizza la festa: si tratta della scinnùta
ro patri a culonna. I congregati dei cavari (in effetti
della Arciconfraternita di S. Maria Maggiore), che si distinguono
per la camicia bianca con la sciarpa e il collare rosso
vermiglio che indossano, prelevano dalla sua nicchia il
simulacro del Cristo e nello stesso istante - in un urlo
corale con la folla - gridano il fatidico picciòtti
chi nun purtàmu a nuddu, Culonna. Il grido, ripetuto
ed urlato fino al parossismo, chiaramente dimostra la partigianeria
dei cavari, i quali - stando alla traduzione letterale -
altri non porterebbero, e ad altri non darebbero la loro
venerazione, se non al loro Cristo alla Colonna.
Questo simulacro, di antichissima
fattura (provenendo alcuni pezzi da un crocefisso del 730
d. C., e poi ricomposto in statua dopo i guasti del terremoto
del 1693), viene quindi scoperto e posto al centro della
Basilica: nel pomeriggio sarà portato a spalla, dopo
essere stato salutato dallo sparo di 21 colpi di mortaretto
alluscita dalla chiesa, lungo le vie della città,
seguito da una immensa folla. Sul simulacro viene portato
anche un reliquario dove è conservata, secondo tradizione,
una scheggia della Croce di Cristo.
Anticamente era questo il giorno
in cui i flagellanti, fedeli penitenti, seguivano il corteo
con le spalle ignude e colpendosi con flagelli di corda;
mentre altri, in segno di umiltà e ritenendosi ancor
più peccatori degli altri, strisciavano la lingua
sul pavimento della Basilica, dal portone fino allaltare
maggiore.
E possibile, ancor oggi,
notare gli ex-voto in cera che a centinaia vengono appesi
in questa giornata ai cornicioni bassi lungo le pareti del
tempio. Si tratta di riproduzioni in cera di gambe, braccia,
seni, ventri; ed ancora di pupattoli e bambole, rappresentanti
i bambini, i quali, tutti infiocchettati ed ornati di rosso,
vengono affittati dalla Commissione organizzatrice
della festa dietro un obolo: i fedeli, per grazia ricevuta,
o per voto fatto, vogliono così esprimere un ringraziamento
o una invocazione alla divinità.
Il rientro del simulacro è
previsto per la mezzanotte, ma la congregazione dei cavari,
e i fedeli tutti, cercano in ogni modo di ritardare quanto
più possibile questo rientro, quasi non vogliano
staccarsi dal loro amatissimo simulacro. Ma non basta: una
volta rientrati nella basilica, continuano a portare a spalla
il simulacro facendogli compiere interminabili giri tra
le navate prima di ricollocarlo nella sua nicchia.
Ed eccoci giunti al Venerdì
Santo, quando si svolgono cerimoniali e rivalità
che hanno delle precise analogie con i precedenti già
descritti. Stavolta è il turno dei nunziatari
i quali, nella mattinata e nella chiesa dellAnnunziata,
danno vita alla scinnùta rò Signuri,
prelevando dalla sua nicchia, questa volta, il simulacro
del Cristo con la Croce. Il grido, anzi lurlo
dei congregati e dei fedeli è: picciòtti
chi nun purtàmmu a nuddu, Cruci, Cruci.
Questaltro simulacro,
opera dello scultore Guarino da Noto, del 700, è
composto da un gruppo ligneo con il Cristo e due Giudei,
che viene momentaneamente nascosto da un paravento, dopo
essere stato prelevato dalla nicchia; quindi il sacerdote
officiante si avvicina al paravento, batte tre volte sulle
porte che nascondono il Cristo, e queste - abilmente
mosse - cadono al terzo colpo, mentre il popolo in delirio
grida per tre volte Viva lu Patri, Viva lu Patri, Viva
lu Patri.
A questa calàta re
porti, avvenuta il mattino, come già detto, seguirà
una processione pomeridiana del simulacro, portata a spalle
dai congregati dellAnnunziata, che si distinguono
per il loro saio bianco e mantellina azzurra, e da unaltrettanto
numerosissima folla come quella dei cavari.
Un tempo - lo documenta una
lettera del 1572 - la processione era fastosa, preceduta
da un corteo di cavalieri e nobili personaggi; e fino a
non molti anni or sono, la processione era aperta dalla
cavalleria, uomini in costume a cavallo: oggi
il tutto si è ridotto a poche comparse a cavallo.
La processione, ancora oggi,
e per antica tradizione, si ferma per qualche tempo davanti
la basilica di S. Maria Maggiore, dove si ha lincontro
tra il Cristo ed il simulacro della Addolorata.
Anche questa processione dovrebbe
concludersi a mezzanotte, ma viene sistematicamente ritardata:
immancabili giri, ripetuti, entro la chiesa, fanno passare
le ore prima che il simulacro venga ricomposto nella sua
nicchia.
Ed a proposito di questi giri
vale la pena ricordare che hanno una loro ben precisa origine
e significato. A seguito dei disordini, delle intemperanze
e faziosità che avvenivano un tempo tra i cavari
ed i nunziatari (i primi esponenti della classe povera,
i quali aspettavano questa festa per dimostrare che avevano
più fede dei secondi; e gli altri, ossia i nunziatari,
esponenti della classe agiata, che oltre alla fede potevano
contrapporre lo sfarzo della festa), fu emanata una ordinanza
governativa del 1877 con la quale veniva disposta la soppressione
di entrambe le celebrazioni. Ne scaturì una ferma
opposizione da parte del popolo, e per quellanno le
celebrazioni vietate si svolsero entro le mura delle due
Chiese. Lordinanza fu poi ritirata, ma a solenne ricordo
della ribellione allingiusto divieto, ecco il ripetersi
simbolico dei giri.
Unultima annotazione
su questo Venerdì Santo: per una mai dimenticata
tradizione, ogni venti anni, la processione lascia le mura
della città e si spinge fino alla chiesa di S. Maria
alla Cava.
La Domenica di Pasqua gli Ispicesi
hanno ancora due processioni: la prima è quella che
parte dalla chiesa di S. Bartolomeo, con il simulacro della
Madonna; la seconda muove dalla chiesa dellAnnunziata
con il simulacro del Cristo Risorto: le due
processioni si incontrano davanti la vecchia sede municipale,
per poi dividersi e fare rientro nelle rispettive chiese,
entro luna antimeridiana. Allincontro, che avviene
a mezzogiorno in punto, i portatori dei due simulacri -
al segnale dato da un furibondo sparo di mortaretti - partono
dalle rispettive posizioni correndo, quasi il preludio ad
uno scontro frontale che solo la bravura riesce ad evitare.
Appena i simulacri sono fronte a fronte, alla Madonna
viene fatto abilmente cadere il manto nero, ed il suo simulacro
fatto inchinare in un simbolico atto di omaggio al Figlio;
intanto vengono liberati stormi di colombe.
Eccoci ora a MODICA, dove le
celebrazioni pasquali hanno tradizioni di parecchi secoli.
Il Venerdì Santo si
hanno diverse celebrazioni della Via Crucis, organizzate
dalle diverse parrocchie nei rispettivi quartieri: nella
chiesa di S. Pietro si ripete una Via Crucis vivente, con
la rievocazione del Calvario e la Deposizione del Cristo
morto nellurna; nella chiesa di S. Teodoro si porta
in processione il simulacro dò Signùri
a Culonna; e così via.
Il Sabato Santo, nella tarda
mattinata, si sciolgono le campane, che suoneranno
a distesa ed a lungo per annunciare lavvenuta Resurrezione.
Un tempo questo rituale fu motivo di contese, perché
le due chiese - di S. Pietro e di S. Giorgio - si contendevano
il diritto di suonarle per prime: a seguito di liti, corsi
e ricorsi, dispute e contumelie, fu disposto dalle autorità
ecclesiastiche del tempo che linizio dello scampanio
avvenisse - ad anni alterni - ora dalluna ora dallaltra
Matrice.
Ma il clou dei festeggiamenti
pasquali dei modicani avviene la Domenica di Pasqua, con
la celebrazione della famosa Madonna vasa-vasa
(Maronna vasa-vasa): questa consiste in due processioni,
che partono entrambe dalla chiesa di S. Maria di Betlem,
una con il simulacro del Cristo redento, e laltra
col simulacro della Madonna in gramaglie. Le
due processioni, che hanno percorso le vie cittadine con
itinerari diversi, verso mezzogiorno confluiscono in piazza
Municipio dove avviene u ncuòntru, lincontro,
tra madre e Figlio, e quindi la conseguente vasàta,
il bacio, labbraccio simbolico della Madonna con Cristo.
Loperazione avviene mediante
marchingegni per cui alcuni meccanismi del fercolo - adeguatamente
mossi - fanno muovere le braccia della Madonna tese verso
il Figlio, e quindi alzate in segno benedicente. I portatori
dei simulacri, intanto, agevolano le operazioni dellincontro
tra i due fercoli (a volte si tratta di veri e propri scontri),
con una consumata teatralità.
La stessa scena della vasàta
si ripete una seconda volta in piazza S. Pietro, ed una
terza in Largo S. Maria. Ad ogni incontro, alla Madonna
viene fatto cadere il manto nero con il quale è orpellata,
facendo così scoprire il suo vestito azzurro; ed
intanto si ha un lancio di colombe bianche che erano tenute
in una parte nascosta del simulacro. Ogni volta che si ripete
la vasàta, questabbraccio contagia il popolo
giubilante ed esultante, tanto che chi può e vuole,
abbraccia il vicino che casualmente si trova al suo fianco.
Un tempo i contadini traevano
i presagi dalle due vasàte fatte in S. Pietro
e S. Maria: a seconda della loro riuscita esecuzione o meno,
traevano auspici per il raccolto.
Eccoci
ora a SCICLI, unaltra città che celebra con
complesse ed articolate manifestazioni la Pasqua, non solo
per il genuino attaccamento del popolo a diversi simulacri,
ma anche per le ereditate antiche rivalità tra alcune
chiese, che nel tempo resero ancora più vivaci le
manifestazioni religiose.
Il Martedì Santo, dalla
chiesa di S. Bartolomeo, si origina la processione notturna
del simulacro della Pietà (lAddolorata)
che viene portato sotto un baldacchino colmo di ex-voto
in cera. Il corteo è preceduto dalla congregazione
del SS. Crocefisso - che fa capo alla chiesa di S. Bartolomeo
- ed è seguito da una immensa folla di fedeli che
portano in mano delle torce, creando unatmosfera suggestiva
e commovente.
Il Giovedì Santo è
caratterizzato soltanto dalla tradizionale visita
ai sepolcri, anche qui allestiti con fiori, e con
caratteristici piatti dove è stato fatto crescere
il frumento, ossia i lavùra.
Il Venerdì Santo si
svolge una processione articolata in tre tempi. Dapprima
è la processione dell Addolorata,
che muovendosi dalla chiesa di S. Giovanni Evangelista segue
un percorso che arriva fino alla chiesa di S. Maria La Nova,
dove verrà prelevato il simulacro del Cristo
Morto (va detto che in questa ultima chiesa era stata
preparata liturgicamente la Deposizione, con
la predica delle sette parole ed i fervorini
sulla Corona di Spine e Chiodi). La processione prosegue
poi con i due simulacri; quindi si arresta verso le ore
una, per riprendere nel pomeriggio - sempre coi due simulacri
- e concludersi a tarda serata.
Anche il Sabato Santo è
impegnato in senso religioso, anche se non si hanno processioni
esterne: nelle Chiese, in tutte, si svolgono riti e funzioni,
preghiere ed omelie, fino a tarda sera, in modo da arrivare
a mezzanotte quando - per antica consuetudine - saranno
sciolte le campane per annunciare la Redenzione
di Cristo.
La Domenica di Pasqua si svolge
la manifestazione massima delle celebrazioni sciclitane,
che viene chiamata dellUomo Vivo. Inizia
con una prima processione nella mattinata, detta del Venerabile
(ossia del SS. Sacramento), che si origina nella chiesa
di S. Maria La Nova, e percorre alcune vie della città.
Il sacerdote, sotto il baldacchino, e con lOstensorio
in mano, è preceduto dal tradizionale stannàrdu
(o stunnàrdu), una pesantissima asta con un
enorme drappo in seta, il cui portarlo è privilegio
(e capacità) di pochi, e che appartiene alla confraternita
di S. Maria La Nova. Dopo il giro di numerose vie, si ha
il rientro della processione in chiesa, dove sara riposto
il SS. Sacramento, e prelevato il simulacro del Gesù
Risorto.
Ha così inizio una seconda
processione, la più bella di tutte le altre, non
solo per limmensa folla di fedeli che religiosamente
segue il simulacro, ma anche per alcuni rituali collaterali
che la caratterizzano: anzitutto la processione non segue
un preciso o prestabilito percorso, in quanto le varianti
- su sollecitazione degli stessi fedeli, o per iniziativa
dei congregati - sono una abitudine, e non si sa mai dove
si deciderà di passare. Altro aspetto, che rasenta
il fanatismo, è la venerazione che il popolo nutre
per questo simulacro, una bellissima statua lignea dello
scultore Benedetto Civiletti: al suo passaggio si perpetua
la tradizione del crìscila, crìscila,
che consiste nellafferrare i bambini sotto le ascelle
e sollevarli verso lalto, quasi una offerta alla divinità,
perché siano protetti nella crescita e nella vita
futura.
Benché il corteo si
sia originato nella chiesa di S. Maria La Nova, il simulacro
dell'"Uomo Vivo" giungerà nella chiesa
del Carmine - situata a poche centinaia di metri - dopo
due, tre ore di processione.
In questultima chiesa
il simulacro verrà fatto sostare per qualche ora,
fino al pomeriggio, quando si formerà una nuova processione
che porterà u gioia (altro nome, affettuoso
ed amoroso nello stesso tempo, col quale viene chiamato
Gesù dai fedeli), e che, dopo lunghissime ore di
corteo lungo le vie della città, rientrerà
nella chiesa del Carmine. Ma si tratterà di una breve
sosta di alcune ore (questo tempo oggi viene riempito dalla
musica in piazza); a tarda sera, unultima processione
dell'"Uomo Vivo", con immensa folla, e per le
strade illuminate a giorno, si snoderà per la città
fino a giungere definitivamente nella chiesa di S. Maria
La Nova.
Ed eccoci alle ultime celebrazioni
(nellordine alfabetico, ma non certo per importanza)
che si svolgono a VITTORIA.
Al contrario di quanto avviene
nelle altre città, la processione del Cristo
alla Colonna si svolge il Giovedì Santo. E
stata questa una celebrazione voluta dagli artigiani fin
da tempo antico, curata dalla omonima congregazione, e che
si realizza nel portare il bellissimo simulacro, in un fercolo
dorato, per le vie cittadine illuminate a giorno.
Un tempo, sul tardi, si affiancava
a questa unaltra processione, detta dei sciaccàri,
per via dei numerosi fedeli che portavano una croce con
tre lumi, uno per braccio ed uno sulla sommità: questo
rituale, che si originò spontaneamente nel popolo,
e che durò fino agli anni quaranta, voleva rappresentare
la ricerca dei Giudei di Cristo nellorto di Getsemani;
infatti, ad un certo punto, la processione si portava in
un orto (messo a disposizione da una famiglia in un luogo
dove oggi sorge un cinema), dove veniva trovato il simulacro
di Cristo, e catturato: non era altro che la
preparazione al Venerdì Santo, giorno della crocifissione.
Tutte le celebrazioni del Venerdì
Santo sono curate dalla Congregazione del SS. Crocifisso,
ossia dai Crucifissari, come vengono comunemente
chiamati suoi esponenti. Questa Congregazione, che tra le
altre regole ha quella di non potere superare il numero
di 33 confrati, fu fondata nel 1657 eda allora - anno dopo
anno - organizza le celebrazioni che in sintesi possono
così essere ricordate: al mattino un gruppo provvede
alla vestizione dell'"Addolorata" (con manto nero
e fregi in oro, corona di spine dargento e stiletto
conficcato nel cuore); un altro gruppo si dedica alla pulizia
del simulacro di Cristo ed alla sua sistemazione nel cataletto,
unurna in vetro che sarà poi sistemata nella
sede della Congregazione; ed un ultimo gruppo, insieme alla
banda, percorre le vie cittadine per la questua. Un tempo,
durante questo giro cittadino, venivano raccolte da alcune
famiglie, che per eredità e devozione li detenevano,
gli attrezzi della crocifissione, che sarebbero poi serviti
sul Calvario.
A mezzogiorno si forma la processione,
con partenza dalla sede della Congregazione, nei pressi
della basilica. Il mesto corteo è aperto da una croce;
segue il cataletto, che per tradizione porta una svettante
palma (ma in questi ultimi anni un cuscino di fiori); quindi
lAddolorata; la banda che intona musiche funebri intervallate
solo dal caratteristico rumore della truòccula;
ed infine la folla mesta e commossa.
Giunti al Calvario, il simulacro
del Cristo viene issato fin sulla croce centrale e quindi
crocifisso; lAddolorata, entro il suo fercolo, viene
posta alla destra del monumento; e dopo una breve predica,
la processione si scioglie.
Nel pomeriggio si forma una
nuova processione con lurna vuota portata dai Crucifissari
e seguita dai fedeli; lungo il tragitto si fanno diverse
fermate che simboleggiano la Via Crucis, e che vengono commentate
dai balconi delle case. Finalmente, verso le ore 20, la
processione giunge nella piazza del Calvario, già
gremitissima della folla in attesa di assistere alla Sacra
Rappresentazione, dialettalmente detta i parti.
Questa rappresentazione, molto
antica (la prima risale al 31 marzo 1669) è stata
ininterrottamente ripetuta anno dopo anno: in origine era
detta la Scesa della Croce e recitata in dialetto
da popolani improvvisatisi attori - ciascuno avendo una
sua parte di recitazione (da cui il nome parti)
- con dialoghi che si tramandavano oralmente. Fu solo intorno
al 1850 che si cominciò a sostituire la recitazione
a soggetto col Dramma Sacro, scritto dal marchese Alfonso
Ricca Ficicchia, che pur nella sua poetica classicheggiante
ed in alcuni tratti retorica (ma erano quelli i tempi giusti)
riesce sempre a commuovere il popolo, che vi assiste con
vivissima attenzione e che segue punto per punto la trama
e i dialoghi. E cosa certa che leffetto scenico,
per la particolare struttura del Calvario, è di grande
rilievo.
Al termine della rappresentazione
inizia la parte forse più bella di tutta la cerimonia:
Cristo viene tolto dalla croce e con bende bianche viene
sceso dal Calvario per essere deposto entro lurna.
Ha inizio una processione che passa sempre per alcune strade
del centro, quindi in piazza del Popolo e poi in piazza
Vittoria Colonna: qui - per antica tradizione - solo lurna,
accompagnata naturalmente dai confrati del SS. Crocefisso,
viene portata fino alla piazza dove un tempo - quando Vittoria
fu costruita - sorgeva la chiesa ed il monastero di S. Teresa:
ciò a ricordo del leggendario trafugamento del simulacro
del Cristo morto, operato dai Crucifissari,
e che apparteneva alle monache.
Finalmente la processione riprende,
lurna viene portata nella chiesa madre ed il Cristo,
tolto dallurna, viene deposto nel letto funebre: qui,
per devozione e per regola, prima i confrati, e poi i fedeli,
baciano i piedi del simulacro.
Giuseppe Coria
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