I SUONI DELLA NATIVITA'
Sergio Bonanzinga
Le
tradizioni musicali connesse alla celebrazione del Natale
si sono mantenute in Sicilia particolarmente vitali. Con
canti, musiche strumentali e azioni drammatiche si torna
ogni anno a celebrare la Natività: dal 29 novembre, quando
inizia la novena della Immacolata, al 6 gennaio, ricorrenza
dell'Epifania.
Nelle
case, davanti agli altari o ai presepi, nelle strade, presso
edicole votive riccamente addobbate, e nelle chiese di molti
paesi ancora si ripetono gli antichi canti, eseguiti dietro
compenso da suonatori specializzati o in coro dai fedeli.
E' inoltre ancora possibile osservare certe rappresentazioni
drammatico-musicali della Natività, talvolta pienamente
inserite nei medesimi circuiti di scambio (prestazione/offerta)
che caratterizzano l'esecuzione "professionale" delle novene.
Tratto
connotativo di queste forme espressive è il doppio registro
stilistico determinato dal mescolarsi di apporti folklorici
con ascendeze culte, dovute soprattutto a interventi operati
dalla Chiesa. Tra il IV e il IX secolo, parallelamente al
progressivo affermarsi di drammi sacri sul tema della Passione,
sorsero infatti anche le rappresentazioni drammatiche incentrate
sulla Natività. Queste, fondate sulla sequenza narrativa
Annunciazione-Natività-Fuga in Egitto, vennero a costituire
una forma particolare di dramma sacro, originariamente denominato
officium pastorum. I canovacci destinati all'esecuzione
pubblica erano prodotti in ambiente chiesastico e presentavano
quindi testi rigidamente controllati.
Non
diversamente accadeva per i canti. A tale riguardo basti
ricordare l'emblematica vicenda degli orbi (ciechi), suonatori
e cantori ambulanti siciliani. Gli orbi vennero infatti
riuniti in congregazione a Palermo dai Gesuiti fin dal 1661,
con il preciso obiettivo di diffondere presso il popolo
un'ampia produzione di testi poetici dialettali di argomento
religioso: storie di santi, canti di Natività e di Passione,
rosari, ecc. La Chiesa fissava così, attraverso la scrittura,
temi e motivi destinati alla più ampia ricezione popolare
grazie alla mediazione "orale" degli orbi. L'ampio impiego
di testi in latino e, più recentemente, in italiano - dalle
Litaniae lauretanae a inni come Tu scendi dalle stelle,
Evviva Maria, ecc. - conferma la natura "mista" del repertorio
natalizio.
Caratteristica
che emerge anche nella tipologia formale di molti moduli
melodici associati ai canti e alle musiche strumentali del
Natale, fondati su formule armoniche tonali e strutture
ritmiche rigide (con predominio del 6/8) assai distanti
dalle libere inflessioni del canto siciliano più arcaico
(a esempio i canti dei contadini e dei carrettieri).
Così
come il più recente repertorio strumentale ha accolto innumerevoli
brani d'autore di circolazione sia nazionale che internazionale
(dalla Bersagliera a Jingle bells).
I
testi drammatici, poetici e musicali di provenienza soprattutto
ecclesiastica si andarono tuttavia adattando all'ambiente
in cui si diffondevano. Gli interpreti popolani tendevano
a trasformare gli officia pastorum (o misteri) in rappresentazioni
che lasciavano ampio spazio all'improvvisazione (anche con
l'inserimento di danze, mimiche e dialoghi comici o addirittura
osceni) e all'abbondante consumo di cibo e bevande (perfino
all'interno delle chiese, nonostante le reiterate proibizioni
sinodali). Le novene domiciliari assumevano l'andamento
di una vera festa, con offerte alimentari, accensione di
fuochi e balli estemporanei.
Nonostante
secoli di attività normalizzatrice operata dalla Chiesa,
ancora oggi in Sicilia sono osservabili questi comportamenti,
significativa permanenza di più arcaici rituali destinati
a celebrare il solstizio d'inverno: un passaggio stagionale
ritenuto "straordinario" già in epoca preistorica e di cui
il Natale costituisce, com'è noto, la riconfigurazione simbolica
nei termini dell'ideologia cristiano-cattolica.
L'itinerario
può prendere avvio da Monreale, importante centro a pochi
chilometri da Palermo, dove diverse coppie di zampognari-cantori
ancora si esibiscono dietro compenso dall'Immacolata all'Epifania.
Particolare è però lo strumento impiegato da questi suonatori,
unici in Sicilia a utilizzare la grande zampogna "a chiave"
più comunemente diffusa nell'Italia centro-meridionale.
Il medesimo strumento era adoperato dagli zampognari palermitani,
la cui ultima generazione si è estinta all'inizio degli
anni Sessanta. Questi sono stati però in parte sostituiti
dai ciaramiddari di Monreale, che tuttora usano recarsi
a suonare presso numerose famiglie e botteghe nei rioni
popolari di Palermo (Brancaccio, Cuba-Calatafimi, Mezzomonreale,
Guadagna, Uditore, Villa Ciambra, Boccadifalco). Dal 29
novembre al 7 dicembre si svolge la novena dell'Immacolata
(nuvena dà Madonna), seguita dalla novena di Natale (nuvena
i Natali) che va dal 16 al 24 dicembre. Il ciclo si chiude
con l'ottava dell'Epifania (detta semplicemente ottava)
che si celebra dal 29 dicembre al 5 gennaio. Il triduo (triinu)
consiste in una prestazione musicale limitata ai tre giorni
conclusivi dell'ottava (3-5 gennaio), e viene richiesto
dalle famiglie meno abbienti o da quanti, se pure in ritardo,
non vogliono rinunciare al "suono" della zampogna.
Novene,
ottave e tridui si celebrano di mattina (a partire dalle
sette) e di sera (dall'imbrunire). Le esibizioni avvengono
all'interno delle abitazioni dei committenti (davanti al
presepe o a immagini sacre) oppure all'esterno se vi si
trova collocata un'edicola votiva (cappilluzza, cupulìcchia),
ancora talvolta decorata secondo consuetudine con fronde
d'agrumi cariche di frutti. I tre brani (tri caddozzi) in
cui normalmente si articola ogni esibizione variano in funzione
delle occasioni e delle richieste dei committenti (parrucciani).
Il repertorio comprende canti di argomento devozionale analoghi
a quelli ampiamente attestati in Sicilia nei secoli scorsi.
Alcuni sono canti narrativi legati ai temi della Natività
e della Passione: U caminu i san Giseppi (il viaggio a Betlemme);
A la notti di Natali (la nascita); Ninu ninu lu picuraru
(l'adorazione del Bambino); I tri Re (l'arrivo dei Magi);
Quannu la santa Matri caminava (la ricerca del Cristo Morto
da parte della Madonna). Altri raccontano "storie" di santi
(Santa Rusulìa, Sant'Antuninu la missa nicìa, U miraculu
i sant'Antuninu) e la parabola del Figliol prodigo (U figghiu
prònicu).
Vi
sono poi tre canzuni "lirico-narrative" (Quannu la santa
Matri nutricava, San Gisippuzzu i fora vinìa, Sant'Antuninu
quann'era malatu), una "canzonetta" (Dinghi dinghi la campanedda)
e due versioni della Salve Regina (Sarvi Riggina dà Mmaculata,
Sarvi Riggina di Natali).
Come
normalmente accade nella musica di tradizione orale, un
ridotto numero di melodie (quattro) viene adattato a testi
diversi. Riguardo alle modalità perfermotive si rileva in
particolare la contrapposizione tra l'andamento libero dei
preludi (varianti più o meno estese della medesima struttura
melodica) e il tendenziale assestamento metrico delle parti
cantate (caratterizzate dalla propensione a ricercare la
massima "consonanza" tra l'emissione vocale e il timbro
dello strumento). Il materiale melodico delle canzuni viene
anche proposto in forma strumentale, nell'ambito di estemporanei
componimenti in cui si usa fondere più melodie.
Specificamente
strumentali sono invece la Pasturali e la Litania (quest'ultima
veniva però cantata un tempo sul testo latino delle Litaniae
lauretanae). Vengono inoltre eseguiti adattamenti strumentali
di celebri canzoni religiose (Tu scendi dalle stelle, Mira
il tuo popolo, La Madonna di Fatima), di marce (Bersagliera)
e di canzonette (Calabrisella, Lazzarella, Turidduzzu),
oltrechè alcuni ritmi di danza (valzer, tarantella), nonostante
questo tipo di zampogna non abbia mai avuto funzione di
accompagnamento al ballo.
La
struttura della Pasturali, fondata su progressive variazioni
di una frase esposta in apertura rivela con evidenza il
nesso tra la tradizione della zampogna a chiave siciliana
e la musica strumentale di ambiente colto dei secoli XVII
e XVIII (con speciale riferimento ai repertori organistici).
La
Litania non presenta lo stesso tipo di elaborazione compositiva
della Pasturali, essendo chiaramente fondata su moduli vocali
di più semplice struttura (alternanza di tre moduli ritmico-melodici
variamente iterati). Anche in questo caso appaiono tuttavia
evidenti i referenti "extra-popolari" del brano che presenta
i tipici tratti stilistici e formali della produzione musicale
di origine chiesastica.
Tra
i canti del repertorio monrealese quello che rispecchia
la forma canonica della "novena" (nuvena, nnuena) - ovvero
di un esteso componimento narrativo suddiviso in nove parti
da cantarsi giornalmente nel corso di tutto il ciclo devozionale
- è U caminu i san Giseppi. I suonatori, tuttavia, non rispettano
più la tradizionale modalità esecutiva, e ne cantano frammenti
a loro piacimento o in base alle richieste dei committenti.
Si tratta di un lungo testo in quartine di ottonari che
narra le peripezie della Sacra Famiglia, dalla diffusione
del bando imperiale relativo al censimento fino al momento
della Natività.
Un
modulo narrativo diffuso in tutta Europa e che in Sicilia
ha avuto un interprete celebre nel canonico monrealese Antonio
Diliberto, noto sotto lo pseudonimo di Benedetto Annuleru.
Questi fu autore, intorno alla metà del Settecento, di un
componimento intitolato Viàggiu dulurusu di Maria Santissima
e lu patriarca San Giuseppi in Betlemmi, il cui successo
fu tale da suscitare una vera proliferazione di testi molto
simili: parafrasi, rimontaggi di parti o strofe con eventuale
interpolazione di nuovi versi, ecc. (ancora oggi, peraltro,
il Viàggiu dulurusu si esegue in tanti centri nelle più
svariate combinazioni vocali e strumentali). Del Caminu
i san Giseppi riportiamo le strofe corrispondenti alla prima
giornata della novena:
Nta la centru di lu nvernu
manna Cèsani la bannu
e li pòviri signuri tutt'a scrìviri si vannu.
San Giseppi'n tanta affannu:
"Comu fazzu cu Maria,
si cci dicu di stu bbannu
voli vìniri cu mmia".
Arnuvat'unni Maria
cci la misi a rracuntari
quali bbanu ddulurusu
avìa ntisu publlicari.
"Lu tributu am'a ppagari
senza nudda negativa,
a la patria am'a ttuinnari
a la patria nativa
A l'affritta di Maria
san Giseppi ralligratu,
cci ddicìa: "Signura mia,
vui mm'aviti cunsulatu".
La
documentazione relativa alle tradizioni musicali degli orbi-cantastorie,
la cui tradizione si è protratta a Palermo fino agli anni
Ottanta, e di questi ciaramiddani-cantori conferma la parziale
sovrapposizione tra le due professioni.
Entrambe
tipicamente urbane, hanno condiviso un repertorio poetico-musicale
in gran parte analogo. Era tuttavia esteso a comprendere
l'intero ciclo annuale il mestiere "devozionale" degli orbi,
mentre appare rigidamente circoscritto al periodo natalizio
quello dei ciaramiddari. Tra questi ultimi non è un caso
che gli specialisti della zampogna "a chiave" non fossero
pastori, come è nella tradizione dei suonatori di zampogna
"a paio", bensì contadini e artigiani.
Questi
zampognari-cantori del circondario palermitano, più sensibili
a contesti semiculti e chiesastici, si sono posti, non diversamente
dai cantastorie ciechi, come gli attori e i mediatori di
un immaginario sacro ancora oggi in parte funzionale.
Tra
le più singolari rappresentazioni musicali della Natività
vi sono quelle rilevate in due piccoli centri interni rispettivamente
situati sulle Madonie e sui Peloritani: Isnello e Antillo.
La novena di Natale si usava annunciare ad Antillo (prov.
di Messina) con la Pasturedda, un particolare ritmo a due
campane che intendeva evocare il suono dei mulignedda (campanelli)
appesi al collo degli animali recati dai pastori in dono
al Bambino (quindi una "Adorazione dei pastori"). La Pasturedda
si eseguiva insieme alla Campaniata (scampanata festiva
pure eseguita con due campane) nei giorni della novena e
nelle "vigilie" (15, 24 e 31 dicembre, 5 gennaio). Numerosi
erano i fedeli che si avvicendavano - spesso per voto -
a suonare la Pasturedda (specialmente in occasione delle
vigilie). Oggi la novena non si svolge più secondo queste
consuetudini, si è però mantenuto l'uso di eseguire la Pasturedda
il 24 e 31 dicembre e il 5 gennaio.
Attualmente
è soprattutto il parroco a mantenere viva la tradizione,
anche attraverso il coinvolgimento di alcuni giovani del
paese. Le campane vengono azionate mediante corde pendenti
dai battagli stando in piedi vicino ai vasi. Una tecnica
più elaborata caratterizza invece l'esecuzione della Naca
o Bamminu nella notte di Natale a Isnello (prov. di Palermo).
Qui sono cinque le campane che vengono manovrate da due
suonatori mediante canapi (il campanaro più esperto, di
norma il sacrestano, suona tre campane contemporaneamente).
La sonata dura circa dieci minuti e si fonda su un preciso
modulo nitmico più volte iterato. Il suono delle campane
rappresenterebbe - similmente a quanto rilevato ad Antillo
- lo scampanio degli armenti che con i pastori giunsero
a cullare il sonno del Redentore.
La
Naca si effettuava un tempo anche per le vigilie dell'immacolata
e dell'Epifania, a sottolineare l'unitarietà con cui è vissuto
a livello popolare l'intero ciclo festivo.
Straordinariamente
vitale è la tradizione musicale del Natale a Licata, popoloso
centro costiero dell'Agrigentino. Sono soprattutto gli zampognari
ad animare le celebrazioni, partecipando alle processioni
dell'Immacolata (8 dicembre) e di santa Lucia (13 dicembre)
ed eseguendo le novene domiciliari. Centinaia di famiglie
usano ancora addobbare le edicole (fiureddi) presso gli
usci di casa, con fronde di vegetali (palme, pino, carrubbo)
e agrumi (arance e mandarini), per potere ospitare i suonatori
nei nove giorni che precedono il Natale. I pochi zampognari
ancora in attività addirittura non riescono a soddisfare
le tante richieste, e pertanto a essi si sono aggiunte due
orchestnine composte da suonatori di banda che in parte
ricalcano il repertorio tradizionale. La zampogna che si
utilizza a Licata è del tipo "a paio" (ciaramedda a paru).
Diversamente dalla zampogna "a chiave" monrealese, questo
strumento - tuttora ampiamente diffuso in Sicilia - è impiegato
per ritmare i balli oltre che per accompagnare canti sacri
ed eseguire sonate solistiche. Il sostegno ritmico è sempre
dato dal cìmmulu (cerchietto, munito di piattini e sonagli),
suonato dal cantore che fa coppia con lo zampognaro (altri
cantori, due o tre, si associano di norma a formare il coro).
Con lo scuotimento del cìmmulu i suonatori segnalano il
loro arrivo presso l'abitazione dei clienti. Appena questi
- soprattutto donne e bambini - si riuniscono all'esterno,
si dà inizio alla novena con un canto in italiano (Tu scendi
dalle stelle, O Maria quanto sei bella) o in siciliano (varie
canzuni lirico-narrative sul tema della Natività). Vi sono
anche canti in cui si mescolano strofe dialettali ad altre
in lingua, secondo una prassi che ribadisce le interferenze
stilistiche caratterizzanti le rappresentazioni musicali
della Natività.
Di
notevole interesse è la gestualità del cantore solista,
a braccia aperte in postura di omaggio all'immagine sacra
verso cui sta costantemente rivolto. I moduli musicali possono
essere sommariamente distinti in due tipi: uno di andamento
più regolare, rispondente alle consuete stilizzazioni di
origine semiculta; un altro più libero, tendente a inflessioni
modali. Non è un caso che nei canti eseguiti secondo quest'ultimo
modulo sia piuttosto arduo per chi non conosca già i testi
comprenderne le parole, a causa della dilatazione delle
durate e per la propensione a fondere la voce con il timbro
della zampogna. A tale modulo melodico sono associati esclusivamente
testi siciliani in endecasillabi che racchiudono nuclei
semantici autonomi articolati in strofe brevi (dal distico
alla sestina). La zampogna assume un ruolo di sostegno armonico,
attraverso formule che alternano suoni tenuti a virtuosistici
abbellimenti. Ogni canto si conclude con una cadenza corale
sulla tonica della melodia, seguita da un postludio strumentale
in tempo vivace e regolare (tendente al 6/8) scandito dal
cìmmulu. Questa struttura poetico-musicale offre ampie opportunità
di giustapposizione modulare, poichè permette di collegare
tra loro testi diversi (ma di contenuto unitario) mediante
parti strumentali di raccordo (il postludio funge da preludio
al canto successivo e così via). Temi ricorrenti sono l'adorazione
dei pastori e la ninna nanna al Bambino:
O Bbammineddu (e) quantu
siti bbeddu,
viniti a la me casa si vi piace,
ah ... ah!
Oh ... oh!
Ora ca li pasturi sunnu già arrivati,
i longa via sunnu vinuti,
ah ... ah!
Oh ... oh!
U Bammineddu nta la naca ciancìa
e l'ancilu Gabrieli lu nacava.
Tri palureddi santi ci diciva:
"Dormi figliu, s'amatu di Maria".
E li pasturi già l'amm'adunari,
oh ... oh!
Oh! ... oh!
Vengono
inoltre eseguite diverse melodie esclusivamente strumentali
specificamente associate al Natale, come la Pasturali e
la Campaniata. Interessante in quest'ultimo caso è il principio
imitativo su cui si fonda il brano, inteso a riprodurre
il suono delle "campane di Roma" che annunciano la Natività
(l'imitazione è sostanzialmente ottenuta attraverso formule
fondate su note ribattutte).
Come tutti gli zampognari
siciliani anche quelli licatesi adattano al loro strumento
diverse melodie di vasta diffusione popolare (Bersagliera,
Bandiera rossa, Marina, Bombolo, ecc.) ed eseguono brani
di accompagnamento al ballo (ballitti). La struttura di
questi ultimi si basa su uno schema costante: breve preludio
a ritmo libero (in questa fase il suonatore di cerchietto
si limita a scuotere lo strumento facendo risuonare piattini
e sonagli); giustapposizione di formule melodico-ritmiche
in tempo vivace (tendente al 6/8 o al 12/8), sostenute dal
cìmmulu, che possono essere variamente iterate e combinate
secondo l'abilità del suonatore. La novena si conclude sempre
con un ballittu: se è già buio, e il luogo lo permette,
non è raro che presso le fiureddi siano allestiti dei falò,
scavalcati di corsa dai bambini mentre ancora riecheggia
la musica. Con l'acclamazione corale Viva Gesù Bambino!
si conclude la parte musicale del rito. Le famiglie offrono
allora cibi e bevande ai suonatori e a tutti i presenti,
e se l'offerta è stata particolarmente generosa si suona
ancora un ballittu o un altro brano a richiesta.
L'aspetto
più notevole della tradizione licatese risiede tuttavia
nella Pasturali, una significativa permanenza degli antichi
officia pastoram che si rappresenta dal 26 dicembre al 6
gennaio secondo modalità di committenza analoghe a quelle
della novena. Data la durata, non inferiore a quaranta minuti,
e il costo, pressochè corrispondente a quello pattuito per
un'intera novena, il numero delle Pasturali inscenate ogni
anno raramente supera la dozzina. La rappresentazione richiede
la presenza di sei personaggi: tre pastori chiamati Bardàssaru,
Marsioni e Titu (che nella tradizione locale sono i nomi
dei Re Magi), un Curàtulu (soprintendente di masseria) e
due suonatori. I pastori indossano i tradizionali costumi
in pelle di capra, e il Curàtuilu porta il mantello. Tutti
e tre hanno il volto coperto da lunga barba e reggono in
mano un bastone. Particolarmente interessante è la struttura
drammatica che fonde recitazione, mimica e musica senza
soluzione di continuità.
Nelle parti recitate
si alternano dialoghi "canonici" in italiano (certamente
basati su un testo scritto di cui si è però persa la memoria)
a battute improvvisate in dialetto strettissimo, a sfondo
comico e talvolta osceno.
La
fase preparatoria è affidata a coloro che hanno prenotato
(addumannata) la Pastarali: famiglie e gruppi di vicinato
(quasi sempre per voto, prumisioni), circoli o associazioni
private (per vivacizzare le attività festive con uno spettacolo
sempre gradito). L'allestimento della "scena" consiste nella
costruzione di una capanna con legni, cartoni e frasche
sotto una fiuredda addobbata come per le novene di Natale
ma con maggiore illuminazione. In prossimità dell'edicola
viene preparato un falò che sarà acceso all'inizio della
rappresentazione, di norma effettuata nelle ore serali.
L'azione
si apre con i pastori che si avvicinano lentamente, accompagnati
dal suono di zampogna e cerchietto, simulando grande stupore
per la forte luce che scorgono in lontananza. Giunti in
prossimità della capanna la musica cessa, i pastori improvvisano
qualche battuta scherzosa e poi si mettono a dormire. La
musica riprende tra il russare e lo spulciarsi dei pastori,
finché giunge il Curàtulu. Questi, che si mostra consapevole
della miracolosa nascita con ampi gesti di gioia e meraviglia,
tenta di svegliare il primo pastore per informarlo della
"lieta novella":
Bardàssaru,
come fai a dormire che al centro della notte Dio ha fatto
giorno. Guarda che brillare di luce ch'è nato sulla grotta
di Betlemme e tu dormi buon pastore, svegliati! Buon pastore,
guarda gli agnelli che pascolano, gli uccelli che cantano
e tu dormi o buon pastore, svegliati! Non temere, buon pastore,
sveglia ch'è nato il Re di tutti i re!
Il
tentativo fallisce e ricomincia la musica in sottofondo
agli andirivieni del Curàtulu sempre più strabiliato dai
sacri eventi. L'invito alla sveglia si ripete identico anche
per gli altri due pastori, ma senza sortire effetti.
Il
Curàtulu si rivolge allora di nuovo al primo pastore, ripetendo
con lievi varianti la precedente esortazione per cercare
di convincerlo, con le buone e con le cattive (a colpi di
bastone), che è nato il Redentore. Questa volta Bardàssaru
si alza e scambia qualche animata battuta con il Curàtulu,
fino a concludere:
Buon
pastore, tu dici che al centro della mezzanotte Dio ha fatto
giorno, ancora gli occhi miei non sono convinti e questa
non è ora di pascolare armenti!
La
reazione di Bardàssaru non scoraggia il Curàtulu che, sempre
intercalando gesti di meraviglia al suono della zampogna,
si rivolge prima a Marsioni e poi a Titu, i quali replicano
analogamente al loro compagno. La musica riprende e il Curàtulu
prova ancora a persuaderli:
Titu,
Bardàssaru e Marsioni, alzatevi o pastori! Venite anche
voi ad adorare Gesù Bambino. Guardate che brillare sulla
grotta di Betlemme, come fate a dormire o pastori, svegliatevi!
A
questo punto i pastori finalmente riconoscono l'avvento
del Messia, escono dalla capanna e si inginocchiano verso
l'immagine sacra esposta nell'edicola. Il Curàtulu allora
declama un componimento in siciliano (cinque quartine endecasillabe
a rima alternata) che rievoca i momenti dell'Annunciazione
e della Natività.
La
Pasturali si conclude con l'offerta al Bambino di Canti
e melodie di danza analoghe a quelle eseguite per le novene.
Nel frattempo i più giovani distruggono la Capanna per alimentare
il falò e saltarci attraverso dando prova di coraggio e
vigore, mentre i commitenti avviano la distribuzione tra
il pubblico di dolci, cibi e bevande.
Una
forma di Pastorale molto diversa rispetto a quella appena
descritta si inscena il giorno dell'Epifania per le strade
e nella piazza principale di Sant'Elisabetta, un piccolo
centro rurale dello Agrigentino. I nuclei essenziali di
questa azione drammatica sono costituiti dalla lunga performance
itinerante del Nardu, figura esemplare del servo pigro e
indolente, un po' scemo un po' saggio, e dalla rappresentazione
in piazza di alcuni momenti della vita di una masseria:
si prepara la ricotta che servirà a condire le "lasagne"
(poi consumate collettivamente), si raccolgono l'erba e
la legna, si trasporta l'acqua, si caccia il coniglio (che
viene immediatamente scuoiato, arrostito e mangiato), si
cattura il "ladro di arance" e infine si uccide il "lupo"
che minaccia di attaccare un agnello. A queste sequenze
si aggiunge un epilogo del tutto autonomo, costituito dall'arrivo
a cavallo dei Magi (i tri Re) che scortano la Sacra Famiglia
in un breve percorso dalla piazza alla chiesa. Nardu partecipa
a questo corteo palesando grande stupore per la nascita
miracolosa e assume quindi un ruolo assimilabile a quello
dello "spaventato" del presepe (u meravigghiatu dà rutta).
La
fase itinerante dell'azione è connotata da un variegato
panorama musicale entro cui si sovrappongono i richiami
che il Curàtulu e il Vurdunaru (mulattiere) rivolgono a
Nardu, le sonate delle zampogne e della banda, i ritmi del
tamburo e gli spari a salve dei Campieri a cavallo, oltre
al festoso scampanio di un gregge, che pure sfila ostentando
sonoramente l'identità della comunità pastorale.
Nardu
- con il volto imbiancato, la gobba e un bastone sopra la
nuca su cui poggia i polsi (nella tipica posizione assunta
dai pastori nel momento del riposo) - agisce in silenzio
comunicando esclusivamente attraverso gesti e mimiche (spesso
oscene).
Le
esortazioni a lui dirette vengono non a caso pronunciate
con la tipica inflessione impiegata per chiamare gli animali
(Oh! Nardu! Eoh! oh! oh! oh! / Unn'am'arrivari di stu passu
Nardu! / Unn'am'arrivari, ah!). Travestimento e azioni del
protagonista, orientati al rovesciamento della norma (disubbidisce,
perde tempo, provoca le donne) e allo spreco (sputa il cibo
e le bevande che i pastori gli offrono, lancia ricotta e
fasci d'erba sul pubblico), rivelano chiaramente quale sia
la funzione simbolica di questa maschera ctonia: instaurare
il caos originario, in modo da rinnovare la fertilità naturale
e umana (significativa a riguardo è anche la presenza nel
corteo dei Cardunara, personaggi che recano a tracolla fasci
di cardi selvatici, veri guardiani dell'ordine naturale
che ostentano i frutti spontanei della terra). Di grande
interesse è quindi la confluenza in questa rappresentazione
di elementi eterogenei che la rendono un esempio unico in
Sicilia.
Un
confronto anche sommario tra le due forme drammatiche esaminate
offre l'opportunità per alcune considerazioni conclusive.
In entrambe le circostanze va anzitutto osservata l'opposizione
tra figure come Bardàssaru, Marsioni, Titu e Nardu, che
presentano i tratti caratterizzanti del basso-corporeo (stupidità,
aggressività, volgarità, oscenità), e figure connotate in
senso positivo: sovrintendenti di masseria, mulattiere,
campieri e pastori "laboriosi". Sia a Licata che a Santa
Elisabetta è inoltre presente la transizione dal basso verso
l'alto del primo tipo drammatico: i pastori licatesi riconoscono
la Natività e la loro azione assume la forma dell'Offerta
musicale al Bambino; il Nardu muta atteggiamento e si accoda
compostamente al corteo della Sacra Famiglia. Nel caso di
Licata si rileva però l'adesione al modello delle Pastorali
di origine ecclesiastica, come dimostra il personaggio del
Curàtulu che, illuminato dalla grazia divina, è il vero
artefice del passaggio dei Pastori dalla condizione "selvaggia"
all'armonia di un'esistenza riscattata dal peccato originale,
mentre i Pastori, dal canto loro, non palesano eccessi paragonabili
a quelli del Nardu. A Santa Elisabetta permangono invece
evidenti i tratti di un arcaico rituale propiziatorio agro-pastorale
connesso al solstizio invernale, il cui tentativo di riplasmazione
entro la cornice della festa cattolica appare assai forzato.
Sergio Bonanzinga
(
TORNA
ALL'INDICE DEGLI ARTICOLI )
|