IL TEATRO DEL MONDO
Antonino Cusumano
Del
Natale il presepe è la prima immagine, iconografia esemplare
della tradizione, paesaggi e architettura di un luogo che
appartiene all'infanzia di ciascuno ed è per questo parafrasi
delle memorie familiari.
Al
di là del suo apparato di simboli religiosi e cristiani,
il presepe è teatro antico e ingenuo, spazio di affettuosa
composizione e di domestica rappresentazione del mondo,
orizzonte di segni e di figure partecipato in qualche modo
da tutti, anche dai non credenti, perché allegoria del paese,
microcosmo di una realtà sognata più che vissuta, dove i
conflitti si stemperano e vince l'armonia.
Quanto
viene messo in scena attorno al tema della Natività evoca,
da un lato, l'irruzione del Divino nella storia e, dall'altro,
la dimensione quotidiana del vivere all'interno di un'ideale
comunità umana.
Collocato
tra le pareti di una stanza semibuia, quasi sospesa nel
gioco misterioso delle luci intermittenti, ovvero custodito
in piccole ed eleganti bacheche o sotto campane di vetro,
il presepe, sia esso colto o popolare, esteso o miniaturizzato,
è essenzialmente racconto, plastica narrazione di un evento
centrale che si fonda sulla costruzione di un "recinto"
o spazio sacro entro il quale il tempo declinato nella ciclicità
delle sue sequenze si rinnova eguale e presente. Fulcro
della rappresentazione sembra essere la grotta, ove convergono
i raggi delle stelle di cartone, gli scoscesi e tortuosi
sentieri del villaggio, i passi e gli sguardi dei pastori
carichi di offerte. Ma, a guardar bene, l'ordine cosmogonico
disegnato dal presepe è dato dalla fitta trama delle relazioni
spaziali, dal tessuto connettivo degli elementi topografici,
dalla tridimensionalità dell'impianto scenografico, dalla
rete di reciprocità descritta tra architetture e fondali,
tra percorsi e statuette. Il groviglio di umanità, che anima
la vita di questo teatro del mondo reinventato tra
le mura domestiche, si dispiega attraverso l'illustrazione
dei vari mestieri e la presentazione in forma di processione
dei numerosi doni che pur nella loro sostanziale povertà
valgono ad arricchire l'ordito dei legami e dei vincoli
di riconoscimento della comunità.
Pur
nello scomporre e ricomporre ogni anno la scenografia, variando
o aggiungendo particolari, introducendo nuove figure o adoperando
nuovi materiali, immutato resta tuttavia l'impianto complessivo
della rappresentazione, l'idea della comunità, la sostanza
narrativa del viaggio inteso come percorso simbolico verso
la grotta ma anche come ricerca attraverso la memoria delle
origini e dell'identità. Il paesaggio agropastorale del
villaggio ricostruito si accompagna a scorci di un improbabile
Oriente, frammenti di una Palestina immaginaria, con minareti
in lontananza e sporadiche palme in mezzo al deserto di
sabbia. Francesco Faeta ha osservato che "alcune volte,
turrite mura di una Gerusalemme che sembra uscita da un
fondale dell'opera dei pupi campeggiano sullo sfondo, in
altri casi palazzi fortificati o loro ruderi si inscrivono
nell'ambiente, altre volte ancora i resti di un tempio classico
ospitano direttamente la Natività". Al di là della loro
verosimiglianza, ciascuno dei segni costitutivi della scena
presepiale è carico di evidenti funzioni simbolico-rituali:
così il ponte che sormonta un breve ruscello scintillante
di carta stagnola; così il piccolo lago con le acque sospese
su cocci di vetro o di specchi; così le montagne di sughero,
le fronde d'arancio, i candidi fiocchi di neve sfilacciati
dall'ovatta e infine le stelle con al centro la cometa d'argento
che brilla alta nel cielo blu di cartapesta. Nessuno di
questi elementi paesagglstici trova riscontro in sicure
fonti documentarie e tutti, pur ispirandosi con libertà
ai testi della storia sacra, si richiamano ad una radicata
tradizione orale e popolare, formatasi essenzialmente su
una felice commistione di idealità artistiche e bisogni
devozionali.
Dalla
letteratura dei miti alla costruzione tridimensionale del
presepe i passaggi, le migrazioni e i percorsi di segni
e di simboli non sono né lineari né unidirezionali. Come
accade per tutti i fatti culturali, la genesi delle prime
rappresentazioni plastiche della scena della Natività è
riconducibile a vicende e fenomeni diversi, la cui influenza
è stata reciproca e sincronica. Come ha rilevato Gennaro
Borrelli, "Presepe ha significato di greppia che
per l'occasione fu adoperata quale culla: la più antica
chiesa che porta questo nome è quella di Santa Maria
ad Praesepe, ora S.Maria Maggiore in Roma. Il luogo
dove sin dal tempo di Papa Liborio (fondatore della basilica)
si adoperava un simulacro simboleggiante il divino evento
è ora ubicato nella cappella Sistina della chiesa stessa,
e rappresenta un piccolo ambiente, a forma di cripta, ove
sin dal 354, anno in cui fu istituita la festa della Natività,
si celebravano messe nel giorno di Natale, davanti ad un
simbolo della sacra mangiatoia, sostituito, secondo la tradizione,
tra il 642 ed il 649, dalle vere reliquie della sacra culla
di Betlemme".
Se
gli studiosi hanno accertato che gran parte dell'iconografia
del Natale è mutuata dai Vangeli apocrifi non meno che da
descrizioni e narrazioni antecedenti alla diffusione del
cristianesimo, di provenienza dal mondo orientale e in particolare
da quello siriaco, la tradizione presepiale è stata probabilmente
modellata sulle forme e le strutture teatrali dei drammi
sacri ma ancora più decisamente promossa e favorita dallo
sviluppo che il tema della Natività ha conosciuto nelle
arti plastiche e figurative. In questo senso, è ormai chiaramente
riconosciuto il notevole influsso esercitato dal presepe
napoletano su quello siciliano, considerati gli stretti
rapporti sociali e culturali tra i due centri del Meridione
e il ruolo politico ed economico preminente della città
partenopea.
Apparso
come oggetto di culto soprattutto all'interno delle chiese
e diffuso in Sicilia a partire dal secolo XV, il costume
di rappresentare la nascita di Gesù con statuine tridimensionali
mobili riprende moduli spaziali e schemi formali della cultura
figurativa già espressa su questo soggetto attraverso i
codici miniati, i mosaici, le immagini a stampa, le pitture
su pareti e su vetro, e soprattutto i bassorilievi in marmo.
Basterà ricordare i nomi del Laurana e dei Gagini, i primi
veri giganti della scultura presepiale siciliana, per identificare
i modelli espressivi più compiutamente rappresentativi e
risalire alle origini dell'illustre tradizione artistica.
Il passaggio dalla esecuzione delle figure in pietra a quelle
in legno a tutto tondo può essere storicamente considerato
l'atto di nascita del presepe vero e proprio, che si caratterizza
subito per la teatralizzazione delle composizioni plastiche
e la forte impronta naturalistica affidata alla modellazione
dei personaggi.
"Teatralità
e naturalismo, ha scritto Antonino Buttitta, riflettono
naturalmente un chiaro spostamento di interesse dall'evento
della Natività in quanto tale alle composite scenografie
e alle situazioni d'ambiente". Fra più antichi presepi siciliani
è quello che si conserva nella chiesa di San Bartolomeo
a Scicli, opera di fattura napoletana che si fa risalire
al 1576 anche se ha subìto nel tempo reiterati interventi
di restauro, con pesanti rimaneggiamenti e consistenti integrazioni.
A dare impulso
alla pratica di disporre i gruppi di statue, realizzati
anche a grandezza naturale, secondo una precisa e articolata
ambientazione scenografica contribuirono senza alcun dubbio
i Gesuiti, impegnati a divulgare anche attraverso questo
nuovo strumento di comunicazione visiva la potenza della
Chiesa post-tridentina unitamente al prestigio del proprio
ordine religioso. Presepi monumentali erano allestiti davanti
all'altare o nei chiostri e restavano esposti durante tutto
il periodo natalizio: rituali novene eseguite da pastori
con le tradizionali "ciaramelle" accompagnavano le visite
dei devoti.
Già
nella prima metà del XVII secolo è attestato l'impiego di
figure mobili, scolpite in legno in piccola o in grande
scala, all'interno di presepi montati nelle cappelle private
dei nobili. Uscite dalle chiese ed entrate nelle case delle
famiglie aristocratiche, le statuine crescono di numero
e si arricchiscono sempre più di elementi decorativi che
ne accentuano eleganza formale e vivacità realistica. Nell'assumere
funzioni di arredo con ambizioni estetiche, i presepi che
occupavano interi salotti erano destinati a diventare oggetti
d'arte, motivo di vanto, di orgoglio e perfino di competizione.
Quando si cominciarono ad usare materiali preziosi come
l'oro, l'argento, la madreperla, l'avorio e il corallo,
l'evoluzione del presepe in soprammobile in stile raggiunse
il suo culmine. Chiusa dentro bacheche di vetro, la piccola
composizione della Natività s'imponeva su antichi cassettoni
o davanti a raffinate specchiere, rimanendo stabilmente
esposta per essere a lungo ammirata. In epoca barocca, tra
Seicento e Settecento, sicura perizia tecnica e accurata
perfezione formale si coniugavano nella creazione di presepi
artistici, a formato ridotto, di produzione prevalentemente
trapanese. Mentre a Napoli si introducevano i manichini
lignei rivestiti con le più ricche e sfarzose stoffe degli
abiti della moda del tempo, in Sicilia la ricchezza e la
ricercatezza nei gusti e nello stile erano date soprattutto
dalla lavorazione a bulino delle pietre più pregiate, con
le quali erano eseguite le piccole e splendide Sacre Famiglie,
oggi in gran parte conservate presso il Museo Pepoli di
Trapani. Nella stagione in cui le arti decorative conoscevano
in tutta l'Isola uno straordinario e originale sviluppo,
le maestranze trapanesi seppero interpretare con esiti di
altissima qualità e creatività le esigenze di rappresentanza
simbolica della ricca borghesia emergente locale. Argentieri
e corallari diedero vita a un capitolo tutto nuovo e tutto
siciliano della storia del presepe, attraverso la manifattura
di piccoli gruppi scultorei raffiguranti la Natività inserita
fra i ruderi di un edificio classico o nel folto di una
rigogliosa vegetazione.
La
sapiente commistione cromatica dei diversi materiali preziosi:
il bianco intenso dell'avorio, il rame dorato, il rosso
vivo del corallo, i contrastanti riflessi delle lamine d'argento
sbalzate e delle gemme e degli smalti applicati, ha contribuito
a fare, di queste minute ed elaborate composizioni, singolari
opere d'arte la cui fama ha percorso tutta l'Europa. Fra
gli autori di questi presepi si ricorda il maestro Giuseppe
Tipa che con i figli Andrea e Alberto fu titolare di una
prestigiosa bottega attiva a Trapani almeno fino alla fine
del XVIII secolo.
Alla
stessa città di Trapani e al nome di Giovanni Matera si
legano le fortune di un'altra fondamentale pagina nella
storia della cultura figurativa siciliana: l'arte della
scultura modellata secondo le tecniche della "tela e colla".
In legno di tiglio erano costruiti la testa e lo scheletro
delle figure, su cui erano organicamente sovrapposte e morbidamente
drappeggiate tele imbevute di colla e gesso a simulare i
costumi dei personaggi. Matera fu insuperato caposcuola
di queste particolari tecniche di scultura presepiale che
troveranno in seguito applicazione nella realizzazione dei
famosi gruppi dei Misteri della processione del Venerdì
Santo. Le sue opere più significative si possono ammirare
nel Museo Pitrè di Palermo e nel Museo Nazionale di Monaco
di Baviera. Per il soggetto rappresentato e per la teatralità
dispiegata nella forte carica gestuale e nell'audace torsione
dei corpi, sono di straordinario interesse le figure che
compongono le scene della Strage degli Innocenti. La brutale
efferatezza dell'eccidio è riprodotta con sequenze plastiche
ed espressionistiche che possiedono movimento e ritmo narrativo.
Tecniche
e stile adoperati dal Matera furono a lungo modelli di riferimento
per i costruttori di pastori dei presepi siciliani, grazie
anche all'economicità dei materiali d'uso che favori una
larga diffusione popolare di questa tradizione artigianale.
Ciò non impedì nella lavorazione la sperimentazione di collanti
a base animale, di nuove misture di argilla, stucco e pastiglia
nella manifattura di composizioni scenografiche.
Un
discorso a parte merita la produzione dei presepi in cera,
particolarmente ricca nella regione iblea, che può vantare
una storica e ancora fiorente apicoltura. La ceroplastica,
attività praticata fin dal medioevo all'interno dei monasteri
e dei conventi, diventò a partire dal secolo XVIII specializzazione
dei cirari, che sfruttarono la versatilità e la duttilità
della materia per eseguire ex voto, modellare santi e bambinelli
e plasmare piccole Natività destinate ad una committenza
non solo ecclesiastica. Dentro eleganti scaffarate
le cere scolpite erano oggetto di culto ma anche di ammirazione
artistica, per la varietà e la preziosità degli addobbi
che spesso guarnivano i soggetti. Di notevole fattura sono
le opere del siracusano Gaetano Zummo, tra i primi e il
più celebre ceroplasta siciliano.
Nel
Victoria and Albert Museum di Londra si trovano suoi gruppi
statuari di grande pregio.
Attraverso
documentate ricerche gli studiosi hanno accertato la paternità
di non pochi presepi in cera. Sono, tra gli altri, noti
i nomi di Anna Lo Fortino e di Rosalia Novelli di Palermo,
di Giovanni Rosselli di Messina e di Ignazio Macca di Noto.
Nel Museo Bellomo di Siracusa è possibile osservare parecchi
esemplari della loro produzione ceroplastica, che ha attraversato
tutto il Settecento fino a giungere ai primi decenni del
secolo scorso. I temi della Sacra Famiglia, della Natività
e dell'Adorazione dei Magi trovano negli effetti del bulino
sulla docile cera un'accurata rappresentazione realistica
animata da particolari espressivi e decorativi.
Alle
soglie dell'Ottocento il presepe, definitivamente uscito
dagli ambienti meramente ecclesiastici e aristocratici,
comincia ad assumere connotati e caratteri popolari, diventa
oggetto domestico rituale, entra anche nelle case delle
famiglie meno abbienti, sia in città che nelle campagne.
La svolta si può ricondurre all'evoluzione delle tecniche
di lavorazione delle figure e, più in generale, ai mutamenti
economici e culturali che investono la società siciliana.
Sono gli anni durante i quali prende forma quella straordinaria
tessitura di esperienze artistico-figurative che ha caratterizzato
la vita e la cultura delle classi popolari dell'Isola nel
cuore dell'800. Pitture su vetro e su carro, tavolette votive
e cartelli dei cantastorie e dell'opera dei pupi sono alcuni
dei prodotti e dei generi della tradizione iconografica
siciliana che hanno conosciuto in quel periodo una fortunata
stagione creativa. Ebbe particolare sviluppo anche in quegli
anni la ceramica popolare e con essa l'arte dei flgurinai,
ovvero degli artigiani che dall'argilla modellata ricavavano
le statuine da presepe. L'introduzione degli stampi di gesso
nel ciclo di lavorazione fu poi determinante per abbassare
i costi e incrementare la produzione in serie delle figurine
in terracotta. Da questo fatto tecnico e da questo preciso
momento può farsi cominciare la storia del presepe popolare
con le sue alterne vicende che continuano fino ai nostri
giorni.
Se
è vero che l'arte popolare pur muovendo da modelli culti
non è di questi semplice o passiva ripetizione né imitazione
più o meno fedele o sbiadita, la rappresentazione plastica
della Natività a livello popolare, per le funzioni sociali
radicalmente diverse a cui si richiama, si lascia riconoscere
per determinati tratti distintivi, assunti in corrispondenza
dei particolari significati e valori simbolici attribuiti
alle opere. Così, le statuine d'argilla dipinte a forti
tinte non sono più filologicamente riconducibili alla realtà
storica dell'Evento rappresentato quanto piuttosto a quella
metastorica del mito rievocato. Nella semplice forma di
"pastori", i personaggi che partecipano al rito interpretano
ruoli e vestono costumi che sono di un tempo diverso da
quello narrato: sono contadini, artigiani, pellegrini, venditori,
cacciatori e pescatori che hanno facce, fogge e posture
appartenenti al mondo popolare e alla dimensione quotidiana
delle comunità siciliane del secolo scorso. I possibili
anacronismi, certe incongruenze geografiche e temporali,
alcune vistose discrasie tecniche, la mescolanza di stili
architettonici, sono motivati dal bisogno di attualizzare,
dall'urgenza di avvicinare alla realtà umana e sociale del
vissuto lo spazio sacro del presepe e i suoi abitanti. In
questo orizzonte culturale più della stesssa Natività, illustrata
dalle figure fisse e canoniche della Sacra Famiglia, sembra
essere privilegiato lo scenario della vita materiale tradizionale,
il mercato, le botteghe, i mestieri, il complesso sistema
di relazioni tra i luoghi dell'abitare e quelli del lavorare.
Antonino
Buttitta ha osservato che "mentre nei presepi d'arte la
ricerca dei tipi è suggerita vuoi da compiacimenti arcadici,
vuoi da una volontà di realismo esasperato letterariamente
motivato, nei presepi popolari molto più semplicemente si
tratta della rappresentazione del mondo in cui l'artigiano
organicamente appartiene. E' significativo che in un presepe
del Museo Etnografico di Palermo, proveniente da Caltanissetta,
è compreso uno zolfataio, figura altrove insolita, ma nota
nell'area nissena dove un tempo l'estrazione dello zolfo
costituiva la principale attività economica".
Giuseppe
Pitrè e Carmelina Naselli ci hanno consegnato veri e propri
cataloghi delle tipologie dei personaggi e degli elementi
del paesaggio rilevati, tra la fine del'800 e i primi decenni
del nostro secolo, nei presepi apparecchiati di anno in
anno nelle case dei siciliani. Nello spoglio di questi elenchi
dettagliati spiccano la quantità e la varietà degli offerenti
attraverso i quali si dispiega l'amplissimo repertorio delle
offerte, una sorta di inventario di tutto quello che si
può mangiare e desiderare, un'abbondanza di beni alimentari
che sembra voler riscattare la precarietà esistenziale della
tradizionale condizione contadina. Anche se nelle rappresentazioni
siciliane non c'è quell'immagine pantagruelica del mondo
che viene evocata nelle scene al mercato dei presepi napoletani,
tuttavia resta visibile nella ricchezza dei poveri frutti
della terra portati in dono dai pastori l'idea del paese
sognato più che vissuto, immaginato più che realmente abitato.
Nelle repliche degli stessi soggetti che variano per piccoli
particolari si esprime la volontà narrativa delle composizioni,
il gusto per il racconto popolare, la tendenza a scandire
in sequenze il movimento delle azioni compiute dai personaggi.
Così, modellando la posizione delle braccia atteggiate in
modo tale da caratterizzare i tipi desiderati, l'artigiano
può ottenere dallo stesso stampo statuine differenti per
funzioni e ruoli: il pastore che prepara la ricotta, quello
che la sistema nelle fiscelle, colui che si mette in cammino
per donarla, ovvero la lavandaia che deterge il bucato,
quella che strizza i panni, quella che li batte e li strofina
contro la pietra del fiume. Si aggiunga che allo scopo di
dare movimento e gioco prospettico all'ambientazione le
figure sono solitamente foggiate a diversa grandezza, in
corrispondenza della loro importanza e soprattutto in rapporto
alla collocazione a cui sono destinate nella spazio della
rappresentazione.
Né
si trascuri il fatto che, diversamente dal presepe d'arte
dove le statuette sono fisse e statiche, in quello popolare
i pastori devono, di volta in volta, adeguarsi agli spostamenti
funzionali allo scorrere cronologico della narrazione, dal
Natale all'Epifania, e sono perfino suscettibili di sostituzioni
sulla stessa scena, agiti e manovrati, sul palcoscenico
di questo piccolo teatro mobile volto a restituire dal vivo
in successione i vari momenti del viaggio umano verso il
mistero della grotta, come marionette chiamate a raccontare
una storia, la più antica storia del mondo. Non è senza
significato, per esempio, che l'artigiano costruisce almeno
due tipi diversi di Re Magi: quelli a cavallo (di rado su
cammelli), da porre in cammino in mezzo al deserto e quelli
genuflessi in adorazione, da sistemare nel giorno dell'Epifania
davanti alla mangiatoia.
I
gruppi e le singole figure del presepe popolare siciliano
non sono sostanzialmente diversi per caratteri tipologici
da quelli delle altre regioni italiane, ognuna delle quali
ovviamente presenta specifiche e inconfondibili varianti
relativamente alle tecniche di fabbricazione, ai repertori
cromatici o agli aspetti stilistici. Tuttavia, sebbene la
rappresentazione dei personaggi resti abbastanza uniforme
all'iconografia canonica consolidata dalla tradizione storico-figurativa,
nella manifattura popolare è più facile cogliere i tratti
dell'identità regionale, se non addirittura locale, dei
pastori, visibili in piccoli dettagli dell'abbigliamento
o nei particolari degli oggetti e degli strumenti che recano
in mano. Il Bambino Gesù è in genere modellato in cera,
sdraiato con le braccia aperte. La Madonna è raffigurata
sempre molto giovane, spesso in ginocchio a mani giunte,
con il mantello azzurro sul capo e la veste rossa ampiamente
drappeggiata. San Giuseppe è il vecchio avvolto in una lunga
tunica gialla che si appoggia al bastone fiorito, bianco
nei capelli e nella barba.
I
Re Magi, come i loro paggi e servitori, sono in costumi
orientali, vestono alla turchesca con vistosi turbanti e
calzoni alla zuava. Gaspare, che ha tra le mani l'oro, è
il più anziano e si riconosce per la sua barba bianca. Melchiorre
e il moro Baldassare recano rispettivamente l'incenso e
la mirra. Tra i pastori offerenti, universale e popolare
è la figura del "Buon pastore", che porta sul collo una
pecora o un agnello.
Nel
presepe popolare siciliano si segnalano almeno quattro singolari
soggetti: il "Padre Eterno", effigiato come un vecchio canuto,
con le braccia aperte, il capo sormontato da un triangolo
e una colomba ad ali spiegate sulla veste, simboli entrambi
della Trinità; lo "spaventato", il giovane che esprime palese
meraviglia di fronte all'Evento, generalmente rappresentato
con le braccia protese sul viso; "Gennaietto", un vecchio
coperto di cappuccio, che si scalda vicino al fuoco del
braciere; e infine, "l'uomo che si toglie la spina dal piede",
un personaggio colto in una posa di grande immediatezza
naturalistica, ideato e foggiato per la prima volta dal
trapanese Giovanni Matera e ripreso dai presepisti successivi.
Dell'intensa attività di produzione delle statuine di terracotta
a partire dall'800 gli studiosi hanno documentato le concrete
vicende attraverso l'individuazione di scuole e botteghe,
seguendo il filo delle influenze e delle mode del tempo
e ricostruendo la trama di quel tessuto economico, sociale
e culturale che ha promosso e favorito il consolidarsi in
Sicilia di peculiari e originali linguaggi artistico-figurativi.
Caltagirone
occupa nella storia del presepe popolare un posto di primissimo
piano. Qui l'arte della ceramica, che può vantare un'antichissima
tradizione, ha conosciuto uno straordinario sviluppo raggiungendo
esiti di estrema raffinatezza. Qui operarono, tra la fine
del 700 e la prima metà dell'800, Giacomo Bongiovanni e
Giuseppe Vaccaro, nipote quest'ultimo del primo, maestri
entrambi nell'uso dell'argilla sovrapposta in forma di sottilissime
strisce sul corpo già modellato delle statuine.
Con
questa nuova tecnica sono state realizzate non solo singole
figure policrome ma interi gruppi familiari, scene campestri,
animate liti tra comari, plastici bozzetti di attività domestiche
quotidiane che, come ha scritto Antonino Uccello, "costituiscono
in taluni casi, anche documento di usi, modi di vivere,
comportamenti, utensili e attrezzi del mondo popolare siciliano".
Ad attestare il prestigio e la popolarità raggiunti dalle
opere dei presepisti calatini si legge in una Guida per
la Sicilia del 1842, curata da Jeannette Power, che
"nel suo territorio vi sono molte cave di finissima argilla
che agl'industriosi cittadini serve di materia a formare
statuette colorate esprimenti al vivo le fogge di vestire
dei contadini di diverse regioni dell'isola. Per la loro
naturalezza ed espressione sono ricercatissime dai forestieri".
Capiscuola
di una bottega di figurinai che restò attiva a Caltagirone
fino a qualche anno fa, i Bongiovanni Vaccaro hanno lasciato
numerosi pastori e gruppi di presepi di finissima foggiatura
e di grande pregio.
Alcuni
di essi si trovano oggi nel Museo delle Arti e Tradizioni
Popolari di Roma, acquistati nel 1907 dallo studioso Lamberto
Loria. A Modica nella chiesa di S.Maria di Betlem si può
visitare un presepe monumentale, commissionato nel 1882
dai frati dell'omonima confraternita a Giuseppe Vaccaro
Bongiovanni che vi lavorò, eseguendo i pastori, assieme
al giovane Giacomo Azzolina e al frate Benedetto Papale,
ai quali fu affidato rispettivamente il compito di modellare
i santi, gli angeli e i magi e di curare l'ambientazione
del paesaggio e le operazioni pratiche di allestimento.
E'
appena il caso di precisare che con la creazione degli stampi
e la loro libera circolazione l'universo sociale e culturale
dei figurinai si è, nel corso del secolo XIX, ampliato e
frastagliato. Gli stessi artigiani, in molti casi, fabbricavano
anche tegole e mattonelle, vasi e stoviglie, formelle per
i dolci e fischietti antropomorfi per i bambini. L'eterogeneità
dei manufatti denuncia la profonda trasformazione avvenuta
nell'organizzazione del lavoro e del mercato ovvero nel
sistema delle competenze professionali e delle committenze
commerciali.
A
questi mutamenti strutturali si è accompagnata l'evoluzione
dei presepi da composizioni artistiche di pezzi unici a
opere artigianali di fattura seriale e di qualità diseguale.
A fronte di una crescente domanda popolare, le botteghe
si sono moltiplicate a Caltagirone e altrove, si è incrementata
notevolmente la produzione delle statuette di terracotta,
diventate mediamente più piccole di formato e vendute a
prezzi concorrenziali. L'ampia disponibilità dei calchi
che i ceramisti si tramandavano in famiglia di generazione
in generazione ha, d'altra parte, contribuito a codificare
i segni di riconoscimento delle botteghe più antiche, stabilizzando
tipologie e linguaggi espressivi. Tant'è che da uno stesso
stampo, con piccoli ritocchi, si potevano ricavare fischietti
antropomorfi e figurine da presepe.
Antonino
Uccello ha notato che "il fischietto che rappresenta un
contadino che cavalca un asino è perfettamente uguale a
uno dei Re Magi, che a sua volta, con estrema facilità,
si può trasformare in un Garibaldi a cavallo".
La
storia più recente del presepe siciliano ha conosciuto gli
effetti devastanti della profonda crisi che ha investito,
a partire dagli anni del secondo dopoguerra, la società
contadina e la cultura folklorica, la progressiva massificazione
dei consumi e dei gusti, il lento declino di quel rito domestico
a cui fondamentalmente si lega la tradizione popolare della
rappresentazione plastica della Natività. Alla generale
decadenza di ogni forma di produzione dell'arte popolare
in Sicilia si è accompagnata la chiusura di molte delle
botteghe dei figurinai,la sostituzione delle statuette di
terracotta con quelle in celluloide e in plastica, la standardizzazione
dei modelli e il generale impoverimento dei repertori. Più
gravi sono state le conseguenze sul piano culturale, dal
momento che il collasso del circuito di trasmissione di
oggetti e conoscenze ha provocato la destrutturazione del
sistema delle maestranze e la dispersione di preziose e
antiche collezioni, rischiando perfino di determinare la
definitiva cancellazione delle abilità e dei saperi tradizionali
connessi al mestiere.
Con
l'introduzione sul mercato dei materiali sintetici prodotti
dall'industria, il presepe sembra aver perso gran parte
del suo fascino originario, minacciato se non soppiantato
dalla moda imperversante dell'Albero o come questo adottato
con funzione di semplice addobbo di luci e di arredo da
salotto.
Nonostante
ciò, la parabola storica di questo "piccolo teatro della
memoria" non può ritenersi definitivamente conclusa. Nuove
stagioni e nuove fortune possono dischiudersi sull'orizzonte
del presepe, con il recente recupero e il rilancio già avviato
di antiche e prestigiose botteghe, ma anche attraverso l'affermazione
di moderni orientamenti stilistici e formali che in direzione
della scultura d'autore tentano di battere nuove strade
sperimentali. Tra gli artigiani più illustri oggi attivamente
impegnati, tra tradizione e innovazione, a dare un futuro
all'arte di foggiare statuine di terracotta vanno ricordati
almeno i nomi di Mario Lucerna di Messina, Angela Tripi
di Palermo, Mario Iudici, Enzo Forgia, Francesco Scarlatella
e Enzo Venniro di Caltagirone.
Con
la semplicità di un tempo o con nuovo estro inventivo essi
tornano a dare vita e forma agli umili e antichi pastori,
estratti dall' argilla degli stampi come lo furono gli uomini
nel gesto primordiale del mito della creazione.
Se
il presepe non è destinato ad essere confuso con le altre
rutilanti e suggestive suppellettili del nostro Natale,
se non è un'effimera cornice al nostro nevrotico desiderio
di immagini coreografiche, è perché nel piccolo spazio di
quella vita rappresentata c'è probabilmente un frammento
della vita vissuta, e di questa quella costituisce, a livello
delle strutture profonde, una forma di riscatto, una metafora
della nostra identità.
Nell'apologo
di Edoardo De Filippo il presepe, piantato dal protagonista
come una bandiera nel cuore di una casa lacerata da contrasti
insanabili, sembra avere il valore di un accanimento anacronistico,
di un irriducibile ammutinamento.
Quella
"cosa commovente", di cui parla Luca Cupiello, quel presepe
così inutile e per ciò stesso così necessario, diventa strumento
di resistenza ideologica e culturale, luogo simbolico entro
il quale è possibile dare soluzione alle insopportabili
contraddizioni del nostro tempo.
Il
presepe, dunque, come argine alla cancellazione della memoria,
come segno di rifondazione della vita. Ecco perché "fare
il presepe" ogni anno non è soltanto un rito, domestico
e familiare. E'un pò come "rifare il mondo" o provare a
fare, come scrive Vincenzo Consolo, "la nuda creazione di
un ritaglio del mondo".
Antonino Cusumano
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