I
QUARTIERI-MERCATO SICILIANI
di Annamaria Amitrano Savarese
foto di Melo Minnella
In
un suo celebre dipinto, La Vucciria, Renato Guttuso ha indubbiamente
visualizzato, consegnandolo all’immaginario collettivo,
il tipico mercato siciliano: nel tripudio dei colori, nella
corposa fisicità della folla, nella prorompente evidenza
delle merci sui banconi di vendita. Un omaggio, questo,
voluto dal grande pittore siciliano perché, di fatto,
nell’Isola, il mercato é qualcosa di più
di un semplice luogo dove avviene una contrattazione tra
venditori e acquirenti. Esso é, ancora oggi, agorà,
luogo di confluenza e di attrazione. Palermo, ad esempio,
città dai tanti sostrati culturali, ha ben quattro
mercati, tutti importanti e storici, nati a ridosso delle
mura perimetrali dell’antica città araba e
strutturatisi, net tempo, nei quattro mandamenti dett’urbanizzazione
spagnola. Oltre a quello detto Vucciria, che ha, appunto,
ispirato il quadro di Guttuso — il mercato delle carni,
la Bocceria, correzione linguistica del francese boucherie
cioé macelleria —, vi sono quelli del Capo,
del Borgo Vecchio, a ridosso del mare, ed infine quello
assai antico di Ballarò, nel cuore della città,
all’Albergheria. Di quest’ultimo dà notizia
già il viaggiatone arabo Ibn Hawqal che, nel descrivere
il suo viaggio a Palermo nel…, lo situa nel rabad
meridionale dove gli abitanti di Balhara — villaggio
musulmano sviluppatosi a ridosso della Cattedrale di Monreale
—, si recavano per vendere i loro prodotti.
E,
difatti, Ballarò, nella sua struttura che prevede
una serie di “affacci” lungo le strade, ripete,
pedissequamente, la forma del souk arabo: le botteghe e
gli esercizi commerciali sono, difatti, t’uno accanto
all’altro.
Le merci —
ceste colme di frutta e ortaggi, quantità straboccanti
di pesci, sanguigne esposizioni di carni macellate, ma anche
tessuti, abiti, calzari e tanta altra spicciola mercanzia
—sono esposte sui banconi di vendita che si espandono
sulla via, dall’uno come dall’altra parte della
strada; banchi coperti da teloni che, a seconda della stagione,
proteggono te merci dal sole o dalla pioggia.
In
mezzo, in una sorta di lunghissimo corridoio si muove una
folla affaccendata che guarda, contratta, valuta la convenienza
dell’acquisto (spesso le botteghe propagandano, senza
timone alcuno di concorrenza, le stesse merci) e si fa sommergere.
dalle voci, perché non è raro, ancor oggi,
sentire il venditore abbanniare la sua merce con lo scopo
di esaltarla e pubblicizzarla. E’ noto come le abbanniate,
sia per la loro articotata proposta, che va dalla semplice
iterazione del prezzo della merce, ad un repertorio basato
su figure retoriche quali comparazioni, perifrasi, metafore,
iperboli ed altro; sia per il loro essere espressioni ironiche
ed allusive, talvolta anche a carattere erotico, siano state,
da sempre, considerate vero e proprio documento di folclore
orale ed oggetto di studio, fin dai tempi di Giuseppe Pitré.
Allora ascoltarle significa, davvero, entrane nel vivo di
una cultura: e se la cadenza iterata e lamentosa della “marca”
richiama echi di nenie islamiche, la gente ode e comprende,
anche se non sempre vi pone attenzione.
Il
mercato é, dunque, in Sicilia, una vera e propria
dimensione spazio-relazionale. Da una piazza-via principale,
esso quasi sempre si espande, difatti, nel dedalo delle
vie circostanti fino a connotare un intero quartiere; sicché,
consuetudine vuole che in esso non solo si lavori, ma si
abiti. Perciò accade che spesso gli antichi palazzi
nobiliari del centro storico, ormai fatiscenti, siano trasformati
in un alveare di alloggi sovrastanti i magazzini; oppure
che si tipicizzi un’ abitazione piccola e stretta
con un portoncino ed una sola rampa di scala in diretta
dipendenza con la bottega sottostante. Ogni tanto la linea
degli esercizi commerciali si interrompe per dare accesso
agli atri dei palazzi oppure ai caratteristici cortili dove,
di norma, si svolgono attività di tipo artigianale.
Per essi il richiamo va, ancora una volta, all’uso
arabo del fonduk. A Ballarò, ad esempio, é
ancora visibile il cortile di via del Bosco dove, fino a
qualche tempo fa, vi risiedevano e vi lavoravano gli Olivari,
coesi netta tono appartenenza sia abitativa sia di mestiere.
In questo stesso luogo — mutazione dei tempi —
è oggi, invece, un negozio di prodotti tipici africani.
La sua padrona, Agnese, vende jam e plantain, rispettivamente
patate e banane da cucinare fritte o bollite; vari tipi
di peperoncino e altre spezie, il cocojam, ideate per fare
un sugo denso e dolciastro, il pesce essiccato, la carne
in scatola, il riso africano e tanti altri prodotti alimentari
del Ghana, delta Nigeria, delta Costa d’Avorio, del
Senegal. E ciò non meravigli, più di tanto,
perché, nella specifica vocazione del suo essere
“mercato”, cioé istituzione organizzata
allo scopo di promuovere lo scambio dei prodotti e facilitarne
la distribuzione in relazione a quelle che sono le esigenze
dei compratori, Ballarò ha rinnovato la sua funzione
di spazio di mediazione commerciale e culturale, ponendosi
al servizio dei nuovi abitanti di una Palermo pluralistica
e multietnica. Del resto, il mercato tradizionale con le
merci, e l’offerta dei servizi, é sempre vissuto
in relazione con lo sviluppo economico e sociale delle comunità.
Un tempo esso era il polo di attrazione per i villaggi ed
i paesi circostanti con un rapporto città-campagna
finalizzato al consumo locale che, pertanto, si ritmava
sull’attività
agricola e pastorale oppure, anche, di pesca, sempre però
in stretta connessione col ciclo vegetativo ed ecologico.
Poi esso si è strutturato sulle esigenze di una società
in divenire con forme sempre più regolari e continue
di commercio, in relazione vuoi alla distribuzione delle
merci e all’incremento dei consumi, vuoi all’articolato
della mutazione sociale. In altri termini, la diffusione
e la raggiungibi1ità delle botteghe ha determinato
un repentino passaggio dall’acquisto stagionale, differito
rispetto al bisogno, tipico di una società contadina,
ad un acquisto continuo ed immediato, tipico di una società
consumistica. Non a caso il mercato, oggi, da luogo di scambio
primieramente alimentare si é trasformato in mercato
di merci varie. E’ nata, anche, la figura del mercante,
cioé di un mediatore commerciale che organizza una
relazione di acquisto-vendita, proprio, presupponendo la
regolarità e la continuità dello scambio quale
suo lavoro regolare e continuo.
Così
il mercato è divenuto un convegno abituate di venditori
e compratori in cui si propone merce all’ingrosso
e al dettaglio con una forte attenzione at risparmio. E’,
peraltro, questa una caratteristica del commercio cosiddetto
marginale — che può giovarsi, cioè,
sia del basso costo di esercizio dei locali, come delle
bancarelle; sia delta scarsa incidenza degli oneri fiscali,
come di tutta una rete di relazioni personali, utili per
una vendita a basso costo — che continua ad essere,
ancora oggi, la sua più evidente ed accattivante
peculiarità. In un mercato si propongono, cioè,
merci fresche, esito del perpetuarsi di un rapporto che
lega la città al suo hinterland, e si può,
anche, risparmiare.
Allora si comprende, meglio, penchè al mercato accade
spesso che i prezzi delle merci, sui cartelli di carta colorata,
non segnino mai la cifra tonda: è un espediente,
per invogliare all’acquisto. Un espediente —
si direbbe — di furbizia levantina: uno tra i tanti
caratteri che i siciliani hanno sedimentato nella lono cultura
fatta, come è noto, di una pluralità di esperienze.
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AL
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di Marcella Croce
RACCONTARE
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PROFUMI
E SAPORI DELLA MEMORIA
di Pino Caruso
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di Pino Correnti
ELENCO
DEI MERCATI E DEI MERCATINI IN SICILIA
Testi
e Foto tratti da
"La Sicilia Ricercata" n° 8
MERCATI
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