RACCONTARE
PALERMO
Cinzia Scafati
fotografie di Melo Minnella
Raccontare
Palermo in poche pagine non sarà semplice. Proviamo
con un approccio laterale, con un percorso minore, al1’insegna
del “turismo debole”: rimandando ad un altra
visita, ad un altro — più eroico — umore
il Palazzo dei Normanni, i musei, le chiese, la comprensione
della sovrapposizione e della convivenza dei vari strati
storici, delle varie dominazioni, e forse anche la perfetta
messa a fuoco dell’assetto della città.
A
parte il viale della Libertà, che cambiando varie
volte nome attraversa tutta la città e sarà
uno dei nostri principali punti di riferimento, non capiremo
molto altro. Ma non importerà. Perchè una
fine settimana a Palermo è un dono che va accettato
con gratitudine e pacatezza. Senza strafare, senza forzare
le tappe.
Avvolti
dal profumo del mare che a volte, miracolo, domina il monossido
di carbonio. Perchè il mare è lì a
due passi, anche se non si vede quasi mai. Lo Si riscopre
a tratti, a scorci, oppure ci inonda lo sguardo quando lasciamo
Palermo in direzione dell’aeroporto su quella strada
il cui asfalto è ormai definitivamente impastato
con il sangue e con l’ansia della coscienza di un’enormità
che non potremo mai accettare.
Ma
il mare è sempre presente, e il lessico dei siciliani
non si dimentica di lui. Se chiedete informazioni, in città,
quando vi indicheranno la strada da seguire, se dovrete
andare verso il mare non vi diranno “andate a destra”
o “girate a sinistra”, ma solo “scendete”,
oppure “salite” quando dovrete allontanarvi
dal mare. Ora, se è quasi sempre vero che le strade
che portano at mare sono un poco in discesa, è anche
vero che spesso l’inclinazione non è cosi evidente
e soprattutto, se siete a Palermo per la prima volta, ad
un certo punto vi può succedere di non sapere più
da che parte sta il mare.
A
Palermo, comunque, non ci si perde. Un milione di abitanti
e un’atmosfera insolitamente serena, non c’è
caos, non c’è frenesia; il traffico va via
abbastanza scorrevole. Certo il livello dei decibel lungo
il viale delta Libertà è considerevole.
Ma
dev’essere anche una questione genetica: nei due mercati
di Ballarò e della Vucciria, dove le macchine non
passano, la situazione acustica è altrettanto impegnativa,
anche se il fascino, ovviamente, è ben altro. E allora
giriamoli con calma questi mercati, questa festa dei sensi
durante la quale non saprete a cosa dare la precedenza:
ascoltare, guardare, annusare, toccare, assaggiare... tutto
è permesso, tutto è importante, tutto è
urgente... Una passeggiata tra le bancarelle di questi due
storici mercati quotidiani si risolverà in un bombardamento
di colori, profumi e suoni inattesi. I venditori invitano
all’acquisto o magnificano i toro prodotti con terminologie
ed accenti antichi, forti, a volte incomprensibili agli
stessi siciliani. Gridano come pazzi. O forse cantano. E
lo fanno solo gli uomini. Non si capisce mai bene cosa dicano,
ma lo fanno con un’energia, un impegno e al tempo
stesso una disinvoltura che viene da pensare che il toro
vero lavoro sia questo: starsene lì a tuonare per
tutto il mattino.
Protagonista
indiscusso dette vendite, degli acquisti e delle promozioni
sonore (canore?) è il pesce, che brilla sotto il
sole o, più spesso, sotto le spartane lampadine che
rischiarano l’ombra procurata dalle tettoie di stoffa
rossa, in un’atmosfera da fiera del santo patrono.
Pesce fresco, invitante, una noncurante ostentazione di
bellezza quotidiana, mentre le massaie fanno i loro acquisti
e hanno l’aria di non accorgersi di far parte di un
quadro.
La poesia c’è,
ed è vera, ma a renderla vera sono i mille particolari
che rendono un po’ difficile, un po’ complicato
il giro turistico dei mercati palermitani. I mille particolari
scomodi che forse fanno sì che proprio i palermitani
non si diano conto di quanta bellezza hanno intorno, e vadano
al mercato semplicemente per fare la spesa. I mille particolari
che fanno si che i turisti sciocchi restino un poco disgustati
dal tutto, e non tornino al mercato se non per fare la spesa.
Il
pesce è tenuto in fresco con strati di ghiaccio spesso
rinnovato: ecco perchè dalle bancarelle sgocciola
acqua e sangue e odor di pesce: bisogna fare attenzione
a non avvicinarsi troppo, o scarpe e vestiti si potrebbero
sporcare: le massaie palermitane lo sanno e porgono il denaro
ai venditori con un gesto involontariamente sexy, spingendo
un po’ indietro il sedere mentre allungano il braccio
per pagare.
E
ancora: il resto di cartamoneta che vi daranno per i vostri
acquisti impuzzolentirà il vostro portafoglio all’istante.
Ecco perchè gli habitués del mercato cercano
attentamente di pagare con il denaro giusto; qualche elegantone
addirittura rinuncia at resto, pur di non ricevere banconote
umidicce e maleodoranti; oppure le tiene in mano, pronte
per il prossimo acquisto.
Ma
la bellezza del tutto va oltre, credete. E non riguarda
solo il pesce.
Le
arance, l’insalata, i pomodori, le banane, le angurie,
l’aglio, la carne, il pane, tutto viene esposto con
grande considerazione per t’estetica: piramidi ordinate
di frutta o di verdura, colori perfetti da naif messicano,
con il senso, preciso e indubitabile, dell’allegria.
Se la prima impressione è stata quella del disordine,
del caos, basterà osservare la merce sui banchi per
cogliere l’affetto e l’attenzione, il metodo
e la competenza. Nulla viene lasciato al caso: viene da
immaginarseli, quegli uomini e quelle donne, nel silenzio
dell’alba, quando nessuno ancora compra nè
vende, quando nessuno ancora invita, nessuno grida, nessuno
chiede: ognuno concentrato sul proprio pezzetto di mondo,
a disporre la merce nel modo più giusto e adatto,
nel modo più bello. Sembra di indovinare una sorta
di gara, una specie di sfida, per cui anche chi per indole
sarebbe tentato di lasciar andare a caso le cose sulla bancarella,
deve adeguarsi atta pratica dell’ordine e dell’accuratezza,
a quella quotidiana difesa delta bellezza, pena la disapprovazione
degli altri.
Poi,
quando il mercato inizierà davvero, allora le mille
scene animate offriranno tanti piccoli teatri, che non mancheranno
di affascinarvi. E perchè il fascino sia completo,
non potrete esimervi dall’assaggiarlo, questo mencato.
Se
amate le emozioni forti, provate con il polipo bollito:
come battesimo non sarà male, specialmente se vi
sfideranno ad assaggiare anche la testa, dove è contenuto
il “nero”. Un omone un po’ inquietante
che maneggia coltellacci con sospetta abilità, affetterà
per voi un polipo ancora tiepido e squarterà un limone
per condirlo. Poi vi passerà un piatto, e una posata,
dicendovi assolutamente convinto: “Questa è
la cosa più buona del mondo”. Fidatevi. Dimenticatevi
dell’ordine alimentare e continuate ad esplorare:
arriverete da un altro signore che troneggerà dietro
a un enorme cesto. E l’uomo che vende la frittola,le
parti grasse del vitello, fritte. La frittola sta dentro
il cesto, protetta da canovacci: con la sua manona unta
l’uomo ne tirerà fuori un mucchietto (con la
medesima mano prenderà i vostri soldi e vi darà
il resto: anche qui, meglio pagare con i soldi giusti) e
ve la servirà su un pezzo di canta o nel pane. Un’altra
meraviglia, lasciatevi servire, come dirà lui.
Il
“mangiar per strada” a Palermo è un appuntamento
quotidiano, consueto, che sa di paesi lontani e che, se
si tengono a bada le ansie igieniste, riserva gustosissime
sorprese.
Perchè
Palermo non è una città-ospite, ma una città-amante,
cui bisogna concedersi subito e completamente (specie se
il tempo stringe e la pelle chiama). Se polipi e frittola
sono una sfida eccessiva per voi, avrete alternative più
alla vostra portata. Provate con le panelle o i cazzilli,
rispettivamente fritture a base di farina di ceci e di patate;
oppure, per gli oltranzisti delta salute, cercate quella
signora che accanto alle sue bancarelle di verdura tiene
un fornelletto sul quale, in un pentolone, fa lessare le
patate. Potete compralne un cartoccetto e mangiarle con
le mani, passeggiando. Una volta i ragazzini che marinavano
la scuola e che avevano a disposizione i cinematografi aperti
di mattina, passavano prima a comprarsi un po’ di
patate lesse e se le mangiavano durante il film. Altro che
pop corn!
E
poi c’è tutta la gamma delta frutta secca,
dei pistacchi, dei semi di zucca, dei ceci: anconr bancarelle
ordinate ed invitanti, che profumano di càlia, i
ceci abbrustoliti e salati, il cui profumo non dimenticherete
più.
Vi
potrà anche capitare di vedere un cartello scritto
a mano che fa bella mostra di sè dalla vetrina di
un negozietto di alimentari: “panini imbottiti da
1.000 a 1.500 lire”. Lì potrete comprare un
panino fatto con pane fresco, normale o all’olio,
e un ripieno scelto da voi: la mortadella è un classico
di metà mattina, ma anche certa provola appena salata
può essere un’eccellente colazione.
Grosso
modo, la stessa cifra potrete investire nellta riffa: se
vedete un signore spingere, sul telaio di una carrozzina
per bambini, un piano di legno con sopra, in bella disposizione
tra il ghiaccio, circa due chili di pesce tra calamari,
seppioline ed altro, quello è l’uomo della
riffa. Potrete acquistarne un biglietto, e se sarete fortunati
vincerete il montepremi marino. Non è roba per turisti,
evidentemente, ma per residenti. E infatti gli acquirenti
dei biglietti sono soprattutto i gestori delle bancarelle
del mercato. E l’uomo della riffa tira a campare in
questo modo.
Se
invece è la sete il vostro problema, troverete riparo
in una bottiglieria un po’ surreale, con i bottiglioni
di “spuma” (una parente del ginger?), e gli
scaffali con ogni sorta di liquore, vino, bibita: polverosa,
accogliente, approssimativa. Vi serviranno nei classici
bicchieri “duralex”, quelli infrangibili che
da bambini quando andavano in migliaia di pezzi era una
festa.
Sfamati,
dissetati, con i sensi saturi dopo tante sollecitazioni,
quello che vi ci vuole è un po’ di calma, di
silenzio, di vuoto.
Allontanatevi
dei mercati: se avete gambe buone ci potete andare a piedi,
attraversando quartieri sempre più marini; altrimenti
procuratevi un mezzo motorizzato, perchè dovete andare
un po’ ai confini del centro storico palermitano.
Si chiama Spasimo il posto che vi attende per farvi placare;
e il nome mette un po’ d’ansia.
Ci
si entra un po’ guardinghi: non è molto - forse
una trentina d’anni - che quelle mura, quei cortili,
hanno smesso di ospitare dolori. Eppure allo Spasimo la
bellezza ha il sopravvento. Bellezza che è fatta
di tutto e di niente, di esterni ed interni che si incastrano,
di presenze e mancanze che si completano. Allo Spasimo il
tetto non c’è più, ma tra queste mura
che puntellano il cielo ci si sente davvero riparati e protetti.
Bisogna camminarlo, lo Spasimo, passare la mano su quelle
pietre, appoggiare la schiena a quel tronco gigantesco che
non ci fa capire come ha fatto a nascere e crescere proprio
lì, al fondo di quella che sembra la navata di una
chiesa. Bisogna trovare il bandolo, alto Spasimo, di una
matassa fatta della disperazione che sicuramente ha impregnato
quelle mura, ma anche dell’eleganza, della sorpresa,
dell’emozione, e infine sì, dett’allegria
che oggi quelle stesse mura sprigionano. Sedetevi da qualche
parte, per terra, certo, e lasciatevi cullare da quel silenzio
e da quell’energia. Non vi rammaricate se vi farà
vibrare qualche corda di troppo, di quelle che da tempo
non venivano sollecitate, è questa la cifra di Palermo.
Mai mezzi toni, mai mezze misure. Sara amore vero.
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Testi
e Foto tratti da
"La Sicilia Ricercata" n° 8
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