AL
DI LA DEl FIUMI:
I MERCATI DI BALLARO E DEL CAPO
Marcella Croce
fotografie di Melo Minnella
Il
Cuoco siciliano era uno dei personaggi della commedia nell’antica
Roma: quando i Galli si nutrivano di carne cruda ed erbe
selvatiche, siculus coquus et sicula mensa venivano considerati
sinonimi di grande raffinatezza nell’intero Mediterraneo.
Oggi
gli stranieri cercano di penetrare tutti i segreti della
cucina isolana, ma solitamente, avendo ricevuto un diverso
imprinting nell’infanzia, non riescono a cogliere
tutte le sfumature di sapori cui i siciliani sono fortemente
attaccati, facendo sdegnose orecchie da mercante ad ogni
eventuale voce critica proveniente dalla scienza medica.
Per fortuna, accanto ai fritti, c’è l’abbondanza
della frutta e della verdura a salvarli da un sicuro tracollo
fisico.
Luoghi
deputati per una visita guidata alla storia della Sicilia
attraverso il cibo sono i mercati, dove tutti i sensi sono
stimolati in una lussuria di colori e odori. Al di là
dei due antichi fiumi del Kemonia e del Papireto, fin dall’epoca
araba la città di Palermo fu interessata da un’espansione
extra moenia che oggi occupa le aree dei due quartieri rispettivamente
dell’Albergheria e del Capo. In entrambe le zone si
svilupparono già allora dei mercati, seguendo la
vocazione commerciale che la città ha sempre avuto
fin dal tempo della sua fondazione come emporion fenicio.
Oltre
il Papireto c’era il quartiere degli Schiavoni, così
chiamato dal nome delle truppe mercenarie dalmate assoldate
per il commercio degli schiavi e poi denominato Seralcadio,
cioè Sani-el-Kadì (strada del magistrato).
La parte più vicina al mare si chiamava Malfitania
o Quartiere della Loggia dove risiedevano le nazioni “estere”
dedite principalmente al traffico navale: Capo (da Caput
Seralcadii) fu denominata la parte superiore che fin da
allora si specializzata nella diffusione di prodotti autoctoni
provenienti dall’hinterland cittadino.
Oltre
il Kemonia, l’Albergheria, uno dei cinque quartieri
normanni, si chiama cosi perchè vi vennero trasferiti
da Federico II gli abitanti ribelli di Centorbe e Capizzi
(Albergaria Centurbi et Capicii); secondo altre fonti potrebbe
invece significare “terra a mezzogiomo”, da
Albahar o Albergaira.
Cuore
pulsante dell’Albergheria oggi il mercato di Ballarò
che viene cosi chiamato da Bahlara, villaggio presso Monreale
da dove provenivano i mercanti che lo frequentavano. Il
Gabrieli ha dato una diversa affascinante spiegazione secondo
la quale Ballarò verrebbe da Ap-Vallaraja (titolo
dei sovrani della regione indiana del Sind), perchè
vi si vendevano le spezie provenienti dal Deccan, che erano
più costose delle altre.
Una
passeggiata fra le bancarelle di questi mercati può
essere anche l’occasione per un’esplorazione
nel passato dell’Isola, non quello dei grandi uomini
e delle famose battaglie, ma quello degli uomini della strada
che, esattamente come noi, dovevano nutrirsi ogni giorno
e avevano le loro predilezioni e le loro debolezze. Con
un uso di origine araba, la strada è letteralmente
invasa da cassette di legno: contengono la merce che viene
continuamente abbanniata; pochi ne comprendono il significato
letterale, ma tutti sanno che quelle grida, cantilenate
con cadenze orientali, intendono reclamizzare la buona qualità
e il buon prezzo dei prodotti.
Illuminato
anche in pieno giorno da grandi lampade, per farne risaltare
la vantata freschezza, il pesce costituisce un grande polo
di attrazione del mercato. I siciliani ne sanno potenziare
il sapore con il semplice salmoriglio, al contrario degli
anglosassoni che in genere fanno di tutto per mascherarne
il sapone con salse complicate, ed hanno perfino inventato
l’aggettivo fishy che ha una connotazione altamente
negativa. Il pesce, che nei poemi omerici viene menzionato
solo come disperata alternativa alla carne, era un piatto
prelibato gia per Archestrato di Gela. Dal suo sapore, questa
sorta di ispettore Michelin del IV sec. a.C., diceva di
saper distinguere in quale stagione era stato pescato.
Al
mercato c’è una vasta scelta: si va dal re
dei pesci, il pescespada, troneggiante sui tavoli di marmo
e incoronato dalla sua arma ormai inutile, all’umile
sarda, il pesce dei poveri, come è provato dal detto
liccarisi a sarda che si riferisce a chi ha ristrettezze
nello spendere. Dicono che la pasta con le sarde fu inventata
dagli arabi: secondo la leggenda, quando arrivarono in Sicilia
nel nono secolo avrebbero raccolto il finocchietto selvatico
sulle colline e l’avrebbero subito unito alle sarde
appena pescate che avevano trovato nel porto di Mazara.
Un
po’ discosto, quasi sottobanco, si vendono le acciughe
sotto sale: la passione siciliana per questo gusto è
forse una reliquia del grande successo riscosso in tutto
il Mediterraneo, nei tempi antichi, dal garum, la prelibata
salsa che sia i Fenici che i Romani ottenevano facendo fermentare
al sole il pesce in grandi vasche. Un procedimento dei cui
risultati noi moderni possiamo essere scettici (ma forse
questo è un nostro limite), visto che esiste tuttora
qualcosa di simile, la salsa di pesce nuke-nam, apprezzatissima
nel sud-est asiatico. In Catalogna ci sono perfino ristoranti
che mettono il garum nel menu, cercando di riprodurre quei
penduti saponi antichi.
La
società contadina fino a tempi molto recenti ha invece
privilegiato la carne come status symbol: il detto “tutto
fumo e niente arrosto” voleva appunto ridicolizzane
chi vuol fan credere di potersela permettere. Al mercato
come in tutte le carnezzenie (parola dialettale derivante
dallo spagnolo), grossi quanti di carne sono appesi all’esterno
delle botteghe: questa consuetudine, che tanto stupisce
i visitatori stranieri, è teoricamente illegale anche
se largamente tollerata, e origina dalla macellazione rituale
prescritta nelle religioni semitiche per fare scolare tutto
il sangue dell’animale. In particolare, nei giorni
immediatamente precedenti la Pasqua, agnelli e capretti,
con orrore degli animalisti, sono in bella (?) mostra, pronti
a essere consumati per il pasto rituale: possono ricordarci
che, già prima di Cristo, Hermes era ritratto con
un agnello sulle spalle, che Dioniso (che vuol dire figlio
di Dio) era assimilato all’ariete e che i suoi fedeli
si inebriavano nell’assimilazione eucaristica delle
sue carni divine sotto forma di capro e di vino.
Rispetto
all’insediamento fenicio, l’invasione greca
ebbe carattere più agricolo che mercantile, e i giardini
di Alcinoo descritti nell’Odissea menzionano già
alcune delle specie di frutta e verdura ancora presenti
nella dieta dei siciliani. Le olive da tavola sono artisticamente
sistemate su bancarelle specializzate: sembrano in equilibrio
precario ma naturale al tempo stesso, divise come sono in
munzeddi, ciascuno di sapore e prezzo un po’ diverso
e incorniciato da rametti di rosmarino. Fra le nere le migliori
sono quelle grinzose, dette “al fiore”; lo sanno
gli esperti della cultura delle olive, che risale almeno
al tempo dei greci. Furono loro ad introdurne la sistematica
coltivazione dell’olivo domestico in Sicilia dove
avevano già trovato il suo antenato selvatico, l’olivastro.
Nella
dettagliata descrizione del cibo dell’impero romano
fatta da Apicius nel I sec. d.C. sono inclusi piatti con
ingredienti che puntualmente ritroviamo in giro: passolina
e pinoli, cavolfiore (in associazione con il frumento, il
che ci fa sospettane una parentela con il brocculu arriminatu),
asparagi (con le uova si preparava la alia patina de asparagus
da cui derivarono anche la tortilla spagnola, l’omelette
francese e la eggah araba). Peccato che Apicius si sia avvelenato
alla fine di un banchetto perchè non poteva più
permettersi cene fastose; avremmo voluto saperne di più.
Anche
le fave ci riportano all’antica Roma: pare che il
maccu derivi dalla puls fabata, la zuppa di fave di cui
parla Plinio. L’arte dell’irrigazione introdotta
dagli arabi permise la coltivazione intensiva di altri prodotti
in vendita: spinaci, carciofi, melanzane e soprattutto agrumi,
che, anche se non autoctoni, sono diventati simbolo stesso
della Sicilia, definita da Goethe “la terra dove fiorisce
il limone”, e sono stati immortalati in famosi brani
di opere letterarie come Lumie di Sicilia di Pirandello,
o Conversazione in Sicilia di Vittorini. Le verdure selvatiche
ci ricordano il tempo, in un passato non tanto lontano,
in cui il principale ingrediente dalla dieta contadina era
la fame: ogni erba commestibile veniva accuratamente sfruttata.
Ora che i siciliani possono permettersi dell’altro,
è rimasto l’attaccamento a quel retrogusto
amarognolo. Chi non ha il tempo di andare in montagna a
raccoglierle, può sempre rifornirsi nella lapa del
verdumaio che c’è andato in vece sua.
Le
erbe aromatiche (alloro, basilico, origano, peperoncino),
ingredienti fondamentali della cucina mediterranea, sono
onnipresenti. Souk-el-Atarin è ancora oggi il nome
di una straduzza di Gerusalemme: significa “vicolo
delle spezie” e doveva esistere anche a Palermo come
indica il toponimo Lattarini.
Davanti
a un’osteria di Ballarò, siamo incuriositi
da un grande cesto coperto da uno straccio a quadri bianchi
e blu. Gli irriducibili aficionados del cibo di strada sanno
che tiene in caldo i grassi di maiale, la cosiddetta frittola,
che, insieme al musso e alla quarume, solo gli iniziati
possono apprezzane.
Spingendo
i premi su carrelli, si aggira nel mercato il venditore
della riffa, sorta di lotteria organizzata fra gli abitanti
del quartiere. Non lontano da Ballarò, le piccole
fabbriche a conduzione familiare che producono cannoli,
caramelle di carrubba, candele e i pochi artigiani che ancora
impagliano sedie e fabbricano setacci (crivi), ci danno
un’idea, a dire il vero un po’ pallida, delle
arti e dei mestieri che arricchivano un tempo la vita del
centro storico di Palermo.
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INTRODUZIONE
AL
DI LA' DEI FIUMI: I MERCATI DI BALLARO' E DEL CAPO
di Marcella Croce
RACCONTARE
PALERMO
di Cinzia Scafiddi
PROFUMI
E SAPORI DELLA MEMORIA
di Pino Caruso
I
QUARTIERI-MERCATO SICILIANI
di Annamaria Amitrano Savarese
LA
"MARINA" DI MAZARA DEL VALLO
di Lorenzo Greco
LA
CUCINA AFRODISIACA CATANESE. GLI INGREDIENTI E I MERCATI
POPOLARI
di Pino Correnti
ELENCO
DEI MERCATI E DEI MERCATINI IN SICILIA
Testi
e Foto tratti da
"La Sicilia Ricercata" n° 8
MERCATI
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